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La cena delle beffe

























Titolo originale La cena delle beffe
Paese Italia
Anno 1941
Durata 86 min
Colore B/N
Audio sonoro
Genere drammatico
Regia Alessandro Blasetti
Soggetto dall'omonimo poema drammatico di Sem Benelli
Sceneggiatura Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Produttore Giuseppe Amato
Casa di produzione Cines
Distribuzione (Italia) ENIC
Fotografia Mario Craveri
Montaggio Mario Serandrei
Musiche Giuseppe Becce
Scenografia Virgilio Marchi
Costumi Gino Sensani
Interpreti e personaggi

* Amedeo Nazzari: Neri Chiaramantesi
* Osvaldo Valenti: Giannetto Malespini
* Clara Calamai: Ginevra
* Valentina Cortese: Lisabetta
* Memo Benassi: Il Tornaquinci
* Piero Carnabuci: Fazio
* Lauro Gazzolo: Il Trinca
* Alberto Capozzi: Ser Luca
* Alfredo Varelli: Gabriello Chiaramantesi
* Luisa Ferida: Fiammetta
* Elisa Cegani: Laldòmide
* Nietta Zocchi: Cinzia
* Silvio Bagolini
* Umberto Sacripante
* Aldo Silvani
* Gildo Bocci
* Adele Garavaglia
* Margherita Bagni
* Lilla Brignone
* Carlo Minello
* Guglielmo Sinaz

La cena delle beffe è un film del 1941 diretto da Alessandro Blasetti, tratto dall'omonimo dramma di Sem Benelli.

È entrato nella storia per il primo seno nudo del cinema sonoro italiano,[1] che costò alla protagonista Clara Calamai, una delle maggiori dive dell'epoca, l'anatema delle autorità ecclesiastiche e alla pellicola il divieto ai minori di 16 anni.

È stato il film che ha dato la popolarità ad Amedeo Nazzari, che qui recita la battuta divenuta popolare «...chi non beve con me, peste lo colga!».

Inoltre questo film viene anche spesso ricordato per essere uno dei film interpretati dai due attori e giovani amanti Osvaldo Valenti e Luisa Ferida che, di lì a pochi anni, verranno uccisi dai partigiani.

Trama:

Nella Firenze rinascimentale di Lorenzo il Magnifico, gli arroganti fratelli Neri e Gabriello Chiaramantesi perseguitano da anni il pacifico Giannetto Malespini con pesanti scherzi e provocazioni di crescente crudeltà, infierendo tanto più quanto meno il rivale è capace di reagire agli insulti di cui è vittima.

Lo scontro giunge al culmine quando l'oggetto della contesa diventa la bella Ginevra. La donna, serva in casa Chiaramantesi, era stata offerta a Malespini in gesto di denigrazione, ma quando Neri la vede trasformarsi accanto al mediocre nemico in una splendida cortigiana, se la riprende con la forza, denudandola sotto gli occhi di Giannetto e liberandosi di lui facendolo buttare nel fiume.

Umiliato per l'ennesima volta, ma stavolta soprattutto privato di Ginevra, la quale per altro si è prontamente adattata alla compagnia di Neri, Giannetto decide di vendicarsi una volta per tutte dei terribili Chiaramantesi. Con l'intercessione dell'autorevole Tornaquinci, disposto ad aiutarlo a rifarsi delle tante ingiustizie subite, li invita ad una cena di riappacificazione, a cui i due presenziano come gesto di rispetto verso l'illustre ospite, a cui perfino loro portano il dovuto rispetto, ma anche di ulteriore spregio verso un nemico che sembra dimostrare nuovamente la sua debolezza. Giannetto però ha attentamente pianificato le sue mosse: prima divide abilmente gli avversari, costringendo Gabriello ad una precipitosa partenza dalla città quando insinua, a ragione, che lui sia interessato a Ginevra quanto e più del fratello Neri; poi sfrutta la presunzione di Neri sfidandolo ad una bravata che non può rifiutare.

Quando Neri irrompe in una locanda armato di tutto punto, come stabilito, viene però assalito dai presenti che lo stavano aspettando, perché è stata diffusa ad arte la falsa notizia che lui fosse impazzito ed animato da intenzioni assassine e il suo esuberante arrivo non ha fatto che confermare la voce. Mentre lui è a costretto a rifugiarsi in una torre campanaria, Giannetto, che ne ha preso gli abiti che si è tolto alla cena per mettersi in armatura, si reca a casa Chiaramantesi e riesce a entrare indisturbato nel letto di Ginevra, che solo la mattina dopo scopre con chi abbia effettivamente trascorso la notte.

Neri riesce a sfuggire alla trappola e tornare a casa, dove scopre la grande beffa orchestrata dal rivale, ma viene catturato prima che possa scatenare la propria furia vendicativa. Giannetto, facendosi forte del nome del Tornaquinci, lo fa mettere in prigione e finge di volerlo far rinsavire dalla pazzia con una cura d'urto, mettendolo di fronte a uomini, come il Trinca, e soprattutto donne, come Fiammetta, che Neri ha offeso o di cui si è approfittato. Fra loro c'è però anche la giovane Lisabetta, innamorata di Neri, che coglie questa occasione per avvicinarlo. Quando Giannetto gli offre di liberarlo, a patto che le reciproche offese vengano dimenticate, Neri rifiuta sdegnosamente e poi, con l'aiuto di Lisabetta, finge di essere effettivamente impazzito, a causa dei tormenti della prigionia.

Giannetto, convinto che Neri non sia affatto diventato inoffensivo e si tratti solo di una finzione, decide comunque di liberarlo, ma prepara un'ultima, terribile beffa, approfittando del ritorno in città di Gabriello, accorso alla notizia delle vicissitudini del fratello. Quella notte Neri si reca da Ginevra per uccidere Giannetto mentre si trova a letto con la donna, ma quando, dopo aver ucciso il nemico, se lo ritrova vivo e vegeto fuori dalla stanza, con aria beffarda, scopre inorridito di aver ucciso il proprio fratello, a cui Giannetto aveva concesso di sostituirlo per soddisfare infine il suo profondo desiderio per la donna. Neri, resosi conto del tragico errore, non può sopportare la consapevolezza del delitto commesso e stavolta perde davvero la ragione e si rivolge a Giannetto chiamandolo Gabriello, convincendosi di aver effettivamente ucciso il rivale e non l'amato fratello.



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Addio a Suso Cecchi D’Amico, grande sceneggiatrice del cinema italiano




















Si è spenta a Roma, all’età di 96 anni, la regina degli sceneggiatori italiani, Suso Cecchi D’Amico, la collaboratrice prediletta di Luchino Visconti. Nata a Roma nel 1914 dallo scrittore Emilio Cecchi e dalla pittrice Leonetta Pieraccini. Terminato il liceo francese Chateaubriand non si iscrive all'università, poiché, non avendo sostenuto il baccalauréat con latino e greco «allora per continuare gli studi potevo solo iscrivermi a una o due facoltà, come per esempio botanica, che francamente non m'interessavano».[1] Dopo un soggiorno all'estero, in Svizzera e in Inghilterra, a Cambridge, decide di trovarsi un lavoro. Grazie all'intervento del ministro Giuseppe Bottai, «l'unico gerarca che avesse un qualche rapporto con gli intellettuali»,[2] viene assunta al ministero delle Corporazioni, poi ministero Scambi e Valute, dove lavora per quasi sette anni come segretaria personale di Eugenio Anzilotti, direttore generale del Commercio Estero.[3] È in questo periodo che stringe un'importante amicizia con un giovane di grande talento, Enrico Cuccia.[4]
Nel 1938 sposa il musicologo Fedele D'Amico, figlio di Silvio D'Amico, dal quale avrà tre figli Masolino, Silvia e Caterina. Da sola o insieme al padre esegue molte traduzioni dall'inglese e dal francese, tra le altre Jude l'Oscuro di Thomas Hardy, La via del tabacco, Vita col padre, Veglia la mia casa, angelo, le opere shakespeariane Le allegre comari di Windsor e Otello insieme al padre. Abbandona quest'attività, nella quale per altro non dimostra la facilità che avrà invece il figlio Masolino, quando comincia a lavorare per il cinema.[5]Durante la Seconda guerra mondiale, mentre il marito, membro dei cattolici comunisti con Adriano Ossicini e Franco Rodano, conduce una vita clandestina a Roma e dirige il giornale Voce Operaia, si trasferisce per sei-sette mesi a Poggibonsi, nella villa dello zio Gaetano Pieraccini, medico e politico che sarà il primo sindaco di Firenze dopo la Liberazione.[6] Terminato il conflitto, mentre il marito è ricoverato in Svizzera per curarsi dalla tubercolosi, è «costretta ad arrabattarsi in ogni modo per mantenere sé, i suoi primi due figli [...] e la casa, popolata da tate e altre donne».[7] Tra le curiose occupazioni di questo periodo, dà lezioni di buone maniere a Maria Michi e di conversazione in inglese a Giovanna Galletti, entrambe interpreti in Roma città aperta (1945). Lavora alla sua prima sceneggiatura, Avatar, una storia romantica ambientata a Venezia, ispirata a un racconto di Théophile Gautier, con Ennio Flaiano, Renato Castellani e Alberto Moravia, per Carlo Ponti, allora non ancora produttore importante. Ma il progetto viene abbandonato prima ancora di arrivare ad una sceneggiatura vera e propria, il solo Castellani porta a termine un trattamento.[8] Insieme a Castellani lavora a una storia tratta da un soggetto del commediografo Aldo De Benedetti, Mio figlio professore (1946), diretto dallo stesso Castellani e interpretato da Aldo Fabrizi e dalle sorelle Nava. Insieme a Piero Tellini scrive Vivere in pace (1947) e L'onorevole Angelina (1947), entrambi diretti da Luigi Zampa, interpretati rispettivamente da Fabrizi e da Anna Magnani, con la quale comincia a frequentarsi assiduamente, stringendo uno dei suoi rari rapporti di amicizia con attori.[9] Per il soggetto di Vivere in pace, firmato anche da Tellini e Zampa ma sostanzialmente suo, vince il Nastro d'Argento per il miglior soggetto. Partecipa insieme a Federico Fellini, quasi sempre assente alle riunioni,[10] alla sceneggiatura del film Il delitto di Giovanni Episcopo (1947), tratto da un romanzo di Gabriele D'Annunzio e diretto da Alberto Lattuada. Scrive con Ennio Flaiano la sceneggiatura di Roma città libera (1947), di Marcello Pagliero, tratto da La notte porta consiglio, un soggetto dello stesso Flaiano. Le sedute di sceneggiatura con Flaiano trascorrono «tra chiacchiere, critiche e divagazioni sul soggetto. C’era da ricavare materia per condire dieci film; e sarebbe andato tutto perduto se fosse toccato a lui cavarne il succo».[11] Scrive con Cesare Zavattini le sceneggiature di Ladri di biciclette (1948), proponendo il finale con il tentativo di furto della bicicletta,[12] delle Mura di Malapaga (1949), diretto da René Clément e premio Oscar come migliore opera straniera, inoltre collabora alla sceneggiatura di Miracolo a Milano (1951). Il sodalizio professionale con Zavattini si interrompe quando lui disconosce il film È più facile che un cammello... diretto da Zampa, di cui ha scritto il soggetto, mentre Cecchi D'Amico e Vitaliano Brancati ne hanno curato la sceneggiatura.[13]Lavora con Mario Monicelli e la coppia Age & Scarpelli alla scrittura di I soliti ignoti (1958). Le riunioni di sceneggiatura si concludono spesso con le liti tra Age e Scarpelli, da cui Monicelli e Cecchi D'Amico si tengono fuori, per non darvi importanza.[14] Collabora alla sceneggiatura del kolossal Fabiola (1949), diretto da Blasetti. Per la scena romantica tra Fabiola (Michèle Morgan) e un bellissimo gladiatore (Henri Vidal) il regista consulta decine di persone, per un totale di quarantasette versioni, e da ciascuna prende poi un gesto o una battuta. Della sua utilizza il fatto che, durante l’incontro, l’innamorato, per far stare più comoda Fabiola, le fa un cuscino con la sabbia.[15] Con Flaiano scrive per Blasetti le sceneggiature di Peccato che sia una canaglia (1955), imponendo Sofia Loren nella parte della protagonista, dopo averla vista passare per Cinecittà, «bella, eccessiva, decorativa come un albero di Natale»,[16] e La fortuna di essere donna (1956). Per Mario Camerini, definito al pari di Blasetti un regista della generazione precedente, scrive la sceneggiatura di Due mogli sono troppe (1951). Il primo lavoro da sceneggiatrice per Visconti è La carrozza del Santissimo Sacramento, «che non si fece perché lui litigò con la produzione e il progetto passò a Renoir»,[17] poi è la volta di Bellissima (1951), con Anna Magnani e Walter Chiari. Quest'ultimo interpreta un personaggio che, appena accennato nella prima versione della sceneggiatura, viene sviluppato in seguito per motivi legati alla distribuzione del film.[18] La sceneggiatura di Senso (1954), tratta da una novella di Camillo Boito, non viene interamente girata. Riferisce la d’Amico: «Non avevo ancora una grande esperienza cinematografica con Luchino e non previdi tutti gli indugi nelle scene della villa, tutti gli attraversamenti di stanze per andare a prendere una cosa. A un certo punto delle riprese il produttore Gualino mi chiamò e mi pregò di riferire a Visconti che avrebbe chiuso. Di metraggio ce n’era più della lunghezza del film e il budget era stato ampiamente superato. Così non si girarono mai le scene della Valli che attraversa in carrozza i campi di battaglia. Il viaggio della contessa Serpieri è ridotto a un’apparizione della donna in carrozza che sarebbe dovuta passare in mezzo alle truppe insanguinate».[19] Collabora con Pratolini alla stesura del soggetto di Rocco e i suoi fratelli (1960). Scrive la sceneggiatura con Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa, che entrambi, meridionali, si rivelano molto utili per la psicologia dei personaggi e per il tono dei dialoghi.[20] Nella sceneggiatura del Gattopardo (1963), dietro suggerimento di Visconti, taglia tutta la parte finale del romanzo di Tomasi di Lampedusa per dare nel ballo il senso della morte del Principe e lo sfacelo della società nobiliare dei Gattopardi.[21] Per la sceneggiatura del film Vaghe stelle dell'Orsa (1965), prende spunto dalla tragedia di Elettra. Per la realizzazione del film Lo straniero (1967) è obbligata a una trasposizione fedele del libro di Camus. Prima della fase di montaggio del film Ludwig (1973), è insieme a Visconti quando il regista viene colpito da un ictus che lo rende invalido per il resto della vita. Lavora a Gruppo di famiglia in un interno (1974) e L'innocente (1976). Con Antonioni realizza I vinti (1952), ispirato a fatti di cronaca, effettuando sopralluoghi e raccogliendo materiale reperibile nella stampa e negli atti giudiziari,[22] La signora senza camelie (1953) e Le amiche (1955), vincitore del Leone d’argento al Festival di Venezia. Collabora alla sceneggiatura del film Camicie rosse (Anita Garibaldi) (1952), diretto da Rosi e Goffredo Alessandrini, con Anna Magnani, ma il film fu definito da Cecchi d’Amico un’«avventura insensata».[23] Con Francesco Rosi lavora in altri tre film La sfida (1957), I magliari (1959) e Salvatore Giuliano (1962). Con Luigi Comencini lavora al film Proibito rubare (1948), La finestra sul Luna Park (1956), Le avventure di Pinocchio (1972), scritto per la televisione, Cuore (1984) e Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969).
Nel 1994 la Mostra di Venezia le assegna il Leone d'Oro alla carriera.

Filmografia:

* Mio figlio professore, regia di Renato Castellani (1946)
* Vivere in pace, regia di Luigi Zampa (1947)
* Il delitto di Giovanni Episcopo, regia di Alberto Lattuada (1947)
* L'onorevole Angelina, regia di Luigi Zampa (1947)
* Roma città libera, regia di Marcello Pagliero (1947)
* Proibito rubare, regia di Luigi Comencini (1948)
* Ladri di biciclette, regia di Vittorio De Sica (1948)
* Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (1949)
* Cielo sulla palude, regia di Augusto Genina (1949)
* Le mura di Malapaga, regia di René Clément (1949)
* Patto con il diavolo, regia di Luigi Chiarini (1949)
* È primavera, regia di Renato Castellani (1950)
* È più facile che un cammello..., regia di Luigi Zampa (1950)
* Romanzo d'amore, regia di Duilio Coletti (1950)
* Miracolo a Milano, regia di Vittorio De Sica (1951)
* Due mogli sono troppe, regia di Mario Camerini (1951)
* Bellissima, regia di Luchino Visconti (1951)
* Buongiorno, elefante!, regia di Gianni Franciolini (1952)
* Processo alla città, regia di Luigi Zampa (1952)
* Altri tempi - episodio Primo amore, regia di Alessandro Blasetti (1952)
* I vinti, regia di Michelangelo Antonioni (1952)
* Il mondo le condanna, regia di Gianni Franciolini (1953)
* La signora senza camelie, regia di Michelangelo Antonioni (1953)
* Febbre di vivere, regia di Claudio Gora (1953)
* Vacanze romane (Roman Holiday), regia di William Wyler (1953)
* Siamo donne - episodio Anna, regia di Luchino Visconti (1953)
* Il sole negli occhi, regia di Antonio Pietrangeli (1953)
* L'allegro squadrone, regia di Paolo Moffa (1953)
* Cento anni d'amore, regia di Lionello De Felice (1954)
* Tempi nostri - episodio Il pupo, regia di Alessandro Blasetti (1954)
* Senso, regia di Luchino Visconti (1954)
* Peccato che sia una canaglia, regia di Alessandro Blasetti (1955)
* Le amiche, regia di Michelangelo Antonioni (1955)
* Gli sbandati, regia di Francesco Maselli (1955)
* Proibito, regia di Mario Monicelli (1955)
* Graziella, regia di Giorgio Bianchi (1955)
* La fortuna di essere donna, regia di Alessandro Blasetti (1956)
* La finestra sul Luna Park, regia di Luigi Comencini (1956)
* Kean, genio e sregolatezza, regia di Vittorio Gassman (1957)
* Le notti bianche, regia di Luchino Visconti (1957)
* Mariti in città, regia di Luigi Comencini (1957)
* La sfida, regia di Francesco Rosi (1958)
* I soliti ignoti, regia di Mario Monicelli (1958)
* Nella città l'inferno, regia di Renato Castellani (1959)
* Estate violenta, regia di Valerio Zurlini (1959)
* I magliari, regia di Francesco Rosi (1959)
* Rocco e i suoi fratelli, regia di Luchino Visconti (1960)
* Risate di gioia, regia di Mario Monicelli (1960)
* La contessa azzurra, regia di Claudio Gora (1960)
* La baia di Napoli (It Started in Naples), regia di Melville Shavelson (1961)
* I due nemici, regia di Guy Hamilton (1961)
* Boccaccio '70 - episodio Il lavoro, regia di Luchino Visconti, episodio Renzo e Luciana, regia di Mario Monicelli (1962)
* Salvatore Giuliano, regia di Francesco Rosi (1962)
* Le quattro verità - episodio La lepre e la tartaruga, regia di Alessandro Blasetti (1963)
* Il Gattopardo, regia di Luchino Visconti (1963)
* Gli indifferenti, regia di Francesco Maselli (1964)
* Vaghe stelle dell'Orsa, regia di Luchino Visconti (1965)
* Casanova '70, regia di Mario Monicelli (1965)
* Spara più forte, più forte… non capisco!, regia di Eduardo De Filippo (1966)
* La bisbetica domata (The Taming of the Shrew), regia di Franco Zeffirelli (1966)
* Le fate, regia di Mario Monicelli (1966)
* Lo straniero, regia di Luchino Visconti (1967)
* L'uomo, l'orgoglio, la vendetta, regia di Luigi Bazzoni (1967)
* Senza sapere niente di lei, regia di Luigi Comencini (1969)
* Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, regia di Luigi Comencini (1969)
* Metello, regia di Mauro Bolognini (1970)
* La mortadella, regia di Mario Monicelli (1971)
* Fratello sole sorella luna, regia di Franco Zeffirelli (1972)
* Il diavolo nel cervello, regia di Sergio Sollima (1972)
* Le avventure di Pinocchio, regia di Luigi Comencini (1972)
* I figli chiedono perché, regia di Nino Zanchin (1972)
* Ludwig, regia di Luchino Visconti (1973)
* Amore e ginnastica, regia di Luigi Filippo d'Amico (1973)
* Amore amaro, regia di Florestano Vancini (1974)
* Gruppo di famiglia in un interno, regia di Luchino Visconti (1974)
* Prete, fai un miracolo, regia di Mario Chiari (1975)
* L'innocente, regia di Luchino Visconti (1976)
* Caro Michele, regia di Mario Monicelli (1976)
* Dimmi che fai tutto per me, regia di Pasquale Festa Campanile (1976)
* Gesù di Nazareth, regia di Franco Zeffirelli (1977)
* La velia, regia di Mario Ferrero (1980)
* Lighea, regia di Carlo Tuzii (1983)
* Cuore, regia di Luigi Comencini (1984)
* Uno scandalo per bene, regia di Pasquale Festa Campanile (1984)
* Bertoldo, Bertoldino e... Cacasenno, regia di Mario Monicelli (1984)
* Le due vite di Mattia Pascal, regia di Mario Monicelli (1985)
* I soliti ignoti vent'anni dopo, regia di Amanzio Todini (1986)
* Speriamo che sia femmina, regia di Mario Monicelli (1986)
* La storia, regia di Luigi Comencini (1986)
* L'inchiesta, regia di Damiano Damiani (1987)
* Oci ciornie, regia di Nikita Michalkov (1987)
* I picari, regia di Mario Monicelli (1987)
* Ti presento un'amica, regia di Francesco Massaro (1988)
* Marco e Laura dieci anni fa, regia di Carlo Tuzii (1988)
* Stradivari, regia di Giacomo Battiato (1988)
* La moglie ingenua e il marito malato, regia di Mario Monicelli (1989)
* Il male oscuro, regia di Mario Monicelli (1990)
* Rossini! Rossini!, regia di Mario Monicelli (1991)
* Parenti serpenti, regia di Mario Monicelli (1992)
* La fine è nota, regia di Cristina Comencini (1993)
* Cari fottutissimi amici, regia di Mario Monicelli (1994)
* Facciamo paradiso, regia di Mario Monicelli (1995)
* Bruno aspetta in macchina, regia di Duccio Camerini (1996)
* La stanza dello scirocco, regia di Maurizio Sciarra (1998)
* Panni sporchi, regia di Mario Monicelli (1999)
* Un amico magico: il maestro Nino Rota, regia di Mario Monicelli (1999)
* Il cielo cade, regia di Andrea e Antonio Frazzi (2000)
* Come quando fuori piove, regia di Mario Monicelli (2000)
* Il mio viaggio in Italia, regia di Martin Scorsese (2001)
* Raul – Diritto di uccidere, regia di Andrea Bolognini (2005)
* L’inchiesta, regia di Giulio Base (2006)
* Le rose del deserto, regia di Mario Monicelli (2006)

Premi cinematografici:

* Mostra del cinema di Venezia
o 1993: Premio Pietro Bianchi
o 1994: Leone d'oro alla carriera

* David di Donatello
o 1980: David speciale
o 1986: David Luchino Visconti; miglior sceneggiatura - Speriamo che sia femmina
o 2006: David del Cinquantenario

* Nastri d'argento
o 1947: miglior soggetto - Vivere in pace
o 1949: miglior sceneggiatura - Ladri di biciclette
o 1950: miglior sceneggiatura - È primavera...
o 1959: miglior soggetto - La sfida; miglior sceneggiatura - I soliti ignoti
o 1961: miglior sceneggiatura - Rocco e i suoi fratelli
o 1986: miglior sceneggiatura - Speriamo che sia femmina
o 1987: miglior soggetto - L'inchiesta

Note:

1. ^ Suso Cecchi D'Amico, Storie di cinema (e d'altro) raccontate a Margherita d'Amico, Garzanti, 1996, p. 9
2. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 10
3. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 11-13
4. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 18-19
5. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 29-30
6. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 38
7. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 36
8. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 22-24
9. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 27
10. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 24
11. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 79
12. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 76
13. ^ Suso Cecchi d'Amico Suso, op. cit., pp. 75-76
14. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 77
15. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 103-104
16. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 115
17. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 98
18. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 100
19. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 105
20. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 148
21. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., pp. 155-156
22. ^ Suso Cecchi d’Amico, op. cit., p. 142
23. ^ Suso Cecchi D'Amico, op. cit., p. 119

Bibliografia:

* Suso Cecchi D'Amico, Storie di cinema (e d'altro) raccontate a Margherita D'Amico, Garzanti, 1996

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La corona di ferro


























Titolo originale La corona di ferro
Paese Italia
Anno 1941
Durata 97 min
Colore B/N
Audio sonoro
Rapporto 1,37:1
Genere fantastico, avventura
Regia Alessandro Blasetti
Soggetto Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Sceneggiatura Corrado Pavolini, Guglielmo Zorzi, Giuseppe Zucca, Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Casa di produzione Enic, Lux Film
Fotografia Václav Vích, Mario Craveri
Montaggio Mario Serandrei
Musiche Alessandro Cicognini (direzione orchestrale di Pietro Sassoli)
Scenografia Virgilio Marchi
Costumi Gino C. Sensani
Interpreti e personaggi

* Elisa Cegani: la madre di Elsa / Elsa
* Luisa Ferida: Kavaora, madre di Tundra / Tundra
* Gino Cervi: re Sedemondo di Kindaor
* Massimo Girotti: Licinio e suo figlio Arminio
* Osvaldo Valenti: Eriberto
* Rina Morelli: la vecchia del fuso
* Umberto Silvestri: Farkas
* Stelio Carnabuci: Re Artace
* Paolo Stoppa: Trifilli
* Amedeo Trilli: un re al torneo
* Renato Navarrini: ministro del re della Rosa
* Giorgio Gentile: il re della Rosa
* Ugo Sasso: Artalo
* Primo Carnera: Klasa, il servo di Tundra
* Piero Pastore: Sestio
* Vittoria Carpi: sposa di Artalo
* Satia Benni: la vedova
* Dina Perbellini: nutrice
* Rossana Rocchi: Elsa
* Maurizio Romitelli: Arminio
* Mario Ersanilli
* Antonio Marietti
* Umberto Sacripante
* Ada Colangeli
* Jolanda Fantini
* Giovanni Stupin
* Adele Garavaglia
* Gemma D'Ambri
* Adriano Micantoni
* Alda Perosino
* Mario Mazza
* Giovanni Stupin
* Piero Carnabuci
* Renato Karninski
* Lino Bears

Doppiatori italiani

* Augusto Marcacci: Licinio
* Gualtiero De Angelis: Arminio

Premi

* Coppa Mussolini al miglior film italiano alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia 1941

La corona di ferro è un film del 1941 diretto da Alessandro Blasetti, vincitore della Coppa Mussolini al miglior film italiano alla 9ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.

Si tratta di uno spettacolare kolossal fiabesco, «complesso, cupo e tormentato»,[1] dalle venature pacifiste[2] e dai molteplici riferimenti culturali, di grande successo popolare.[3]

Trama:

La spedizione che trasporta la corona di ferro, forgiata con un chiodo della croce, inviata dall'imperatore di Bisanzio al papa in segno di pace, attraversa una terra dove si è appena conclusa una lunga e gravosa guerra. Il vincitore, Licinio, è pronto ad offrire allo sconfitto Artace una pace onorevole, ma il fratello Sedemondo lo fa uccidere alle spalle con una freccia, usurpandone il trono di Kindaor e condannando il nemico all'esilio e il suo popolo alla schiavitù. Tenta poi di impadronirsi della corona di ferro, facendo sterminare la scorta dall'infallibile arciere Farkas, alle gole di Natersa, ma la preziosa reliquia si sottrae alle mire del nuovo sovrano, sprofondando miracolosamente nella terra.

Una misteriosa vecchia, che vive nella foresta, profetizza a Sedemondo che il suo comportamento sacrilego non rimarrà impunito: al fratricida nascerà una femmina, all'ucciso un maschio, e i due si ameranno tragicamente. In effetti, a Kindaor, la moglie di Sedemondo ha partorito una femmina, Elsa, e la vedova di Licinio un maschio, Arminio, ma i neonati vengono opportunamente scambiati per salvare loro la vita. I due bambini vengono cresciuti come fratello e sorella, finché Sedemondo non intuisce l'inganno e allontana Arminio facendolo portare nell'isolata valle dei leoni, ma la vecchia gli cancella il ricordo di quale sia stata la sorte del bambino, quindi il re è costretto a segregare Elsa nella reggia, protetta da tre ordini di cancelli.

Vent'anni dopo, Sedemondo bandisce un torneo, il cui vincitore potrà sposare Elsa. Nel frattempo, una frana apre un varco fra i monti che circondano la valle dei leoni e Arminio può uscire all'esterno, inseguendo un cervo. Durante la caccia incontra Tundra, figlia di Artace, di cui si innamora subito, che gli propone di combattere nel torneo, per aiutarla a conquistare la libertà del suo popolo. Lo stesso invito gli viene rivolto anche dalla vecchia della foresta.

A Kindaor, alla vigilia del torneo, Elsa esce fra la folla travestita da ancella, incontra Arminio e i due sono fatalmente attratti l'una dall'altro, come profetizzato. In un successivo incontro, nei panni di figlia del re gli chiede di non partecipare al torneo, per non arrecare dispiacere alla sua ancella. Ma quando il terribile re dei tartari Eriberto sconfigge tutti i pretendenti e poi rifiuta l'offerta di Sedemondo di rinunciare alla mano di Elsa in cambio di ricchezze e terre, Arminio non può evitare di intervenire in aiuto della donna, prevalendo sul pericoloso avversario e scoprendo con piacere che Elsa e la sua ancella sono la stessa persona e può quindi esprimerle liberamente il suo amore.

Tundra vorrebbe vendicarsi del tradimento di Arminio nei suoi confronti, ma rinuncia di fronte all'intenzione di Elsa di proporre al padre di liberare dalla schiavitù il popolo di Tundra e concedergli parte del regno. Quando però Elsa rivolge quella richiesta a Sedemondo, questi le avvelena la mente con il sospetto che Arminio in realtà ami Tundra e lei decide di rovinare qualsiasi rapporto esistente tra i due, facendo credere all'amato che l'altra abbia provato ad attentare alla propria vita.

Mentre Tundra, scacciata da Arminio, torna al suo piano originario e lancia al suo esercito il segnale per invadere Kindaor attraverso le gole di Natersa, Arminio comincia però a recuperare i ricordi dell'infanzia e, nel riconoscere sul braccio di Elsa il segno di una comune frustrata subita da bambini per mano di Sedemondo, crede che lei sia sua sorella. Elsa, disperata per quella scoperta che condanna il loro amore, fugge via verso le gole. Arminio, affrontato direttamente Sedemondo e scoperto che lui ed Elsa sono soli cugini, si lancia all'inseguimento della donna, mentre il re impazzisce nel vedere avverarsi la temuta profezia di tanto tempo prima.

Alle gole di Natersa si compie il destino dei protagonisti della vicenda. Elsa, per espiare la sua colpa nei confronti di Tundra, la protegge con il proprio corpo dalla freccia fatale scoccata da Farkas, e in punto di morte rivela ad Arminio, accorso troppo tardi per salvarla, che l'ha ingannato sulle intenzioni di Tundra. I due eserciti nemici, giunti sul posto, vengono divisi dall'improvvisa apertura di una voragine, che inghiotte il corpo di Elsa e riporta alla luce la corona di ferro, la cui apparizione fa deporre le armi ad entrambi gli schieramenti. Mentre la reliquia riprende il viaggio verso la sua originaria destinazione, Arminio e Tundra si sposano e salgono al trono di Kindaor, finalmente pacificato.

Critica:

Blasetti ha sempre presentato il film come un apologo pacifista, una favola contro qualsiasi forma di violenza, senza dirette allusioni politiche,[4] affermando di aver voluto manifestare la sua «avversione alla violenza, alla conquista, all'eroismo sterile».[5]

In una narrazione sofferta, esasperata e sovraccarica,[6] Blasetti ha sintetizzato e contaminato le più diverse ispirazioni: «ha raccolto tutto quanto la storia millenaria della fiaba gli ha portato [...] Più che una fiaba, hai qui un'officina della Fiaba»; [7] «tipico centone di miti e racconti popolari e fantastici, di epica mediterranea e di saghe nordiche, di richiami alla leggenda del Santo Graal a Marco Polo, alle favole di Andersen, a Tarzan, a Edipo re e alla tragedia greca, il film interessa più ancora per l'apertura al mondo del fantastico e dell'immaginario ottenuta grazie ad un’invenzione scenografica continuamente mutevole e all'enorme quantità di elementi e motivi simbolici sparsi per tutta l’opera [...] La contaminazione di stili e registri fa di quest'opera [...] un momento di sperimentazione linguistica ed espressiva tra i più interessanti di questa fase produttiva».[8]

Cast:

* Molti degli attori interpretano un doppio personaggio e per differenziare i due caratteri si ricorre o al trucco o, come ad esempio nel caso di Massimo Girotti, al doppiaggio: la sua voce è infatti doppiata da Augusto Marcacci per Licinio e da Gualtiero De Angelis per Arminio.

* Nella parte di Klasa, il servo di Tundra, compare sullo schermo la gigantesca figura di Primo Carnera più adatto a combattere sul ring che a ricoprire, come in questo caso, ruoli di attore cinematografico come fece in più di venti film.

* Il film è celebre anche per la scena, azzardata per l'epoca, in cui viene mostrato per pochi secondi il seno nudo della giovane attrice Vittoria Carpi. Comunemente il primo seno nudo del cinema sonoro italiano è però considerato quello di Clara Calamai nel successivo film di Blasetti, La cena delle beffe,[9] probabilmente perché la Calamai è la protagonista del film, mentre la Carpi è giusto una comparsa. La "primogenitura" è per altro rivendicata anche da Doris Duranti, rivale artistica della Calamai, per il film Carmela (1942), con la seguente spiegazione: «il mio fu il primo seno nudo ripreso all'impiedi, apparve eretto com'era di natura, orgoglioso, senza trucchi, invece la Calamai si fece riprendere sdraiata, che non è una differenza da poco».[10]

Note:

1. ^ Il Mereghetti - Dizionario dei Film 2008. Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2007. ISBN 9788860731869 p. 710
2. ^ Il Morandini - Dizionario dei Film 2000. Bologna, Zanichelli editore, 1999. ISBN 8808021890 pp. 311-312
3. ^ Gianfranco Gori, Alessandro Blasetti. Firenze, La nuova Italia, 1984. p. 67
4. ^ Gianfranco Gori, op. cit., p. 65
5. ^ A. Blasetti, Trent’anni di cinema che ho vissuto, in Cinema Nuovo, anno V, n° 93, 1956, p. 242
6. ^ Gianfranco Gori, op. cit., p. 69
7. ^ Massimo Bontempelli, nel 1941, sul supplemento speciale della rivista Film Quotidiano per la Mostra del Cinema di Venezia, citato in Gianfranco Gori, op. cit., pp. 66-67
8. ^ Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano 1895-1945, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 504-505
9. ^ Il Mereghetti - Dizionario dei Film 2008, p. 556
10. ^ E. Lancia, R. Poppi, Dizionario del cinema italiano, Gremese editore, 2003, p. 122







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Gilda
























Titolo originale Gilda
Paese USA
Anno 1946
Durata 110 min
Colore B/N
Audio sonoro
Genere drammatico, noir
Regia Charles Vidor
Soggetto E. A. Ellington (dall'omonimo racconto)
Sceneggiatura Jo Eisinger, Ben Hecht, Marion Parsonnet, Viginia Van Upp (non accreditata)
Produttore Virginia Van Upp
Casa di produzione Columbia Pictures
Distribuzione (Italia) CEIAD
Interpreti e personaggi

* Rita Hayworth: Gilda
* Glenn Ford: Johnny Farrell
* George Macready: Ballin Mundson
* Joseph Calleia: Obregon
* Steven Geray: Zio Pio
* Joseph Sawyer: Casey
* Gerald Mohr: capitano Delgado
* Robert Scott: Gabe Evans
* Eduardo Ciannelli: Bendolin

Doppiatori italiani

Doppiaggio del 1947:

* Tina Lattanzi: Gilda
* Stefano Sibaldi: Johnny Farrell e narratore
* Emilio Cigoli: Ballin Mundson
* Giorgio Capecchi: Obregon
* Amilcare Pettinelli: Zio Pio
* Gualtiero De Angelis: Gabe Evans

Doppiaggio (TV) del 1978:

* Vittoria Febbi: Gilda
* Pino Colizzi: Johnny Farrell e narratore

Fotografia Rudolph Maté
Montaggio Charles Nelson
Musiche Hugo Friedhofer; direzione orchestrale Morris Stoloff
Tema musicale Put the Blame on Mame e Amado Mio di Doris Fisher e Allan Roberts
Scenografia Stephen Goosson, Van Nest Polglase

Gilda è un film del 1946 diretto da Charles Vidor, con Rita Hayworth, Glenn Ford e George Macready.

Fu presentato in concorso al Festival di Cannes 1946.

Trama

« Salve! Mi riconosci? Sono Gilda, tua moglie! »

(dai dialoghi del film)

Buenos Aires, 1945: lo scaltro giocatore e baro Johnny Farrell viene assunto da Ballin Mundson, proprietario di una bisca di lusso, e diventa il suo braccio destro. Al ritorno da un viaggio Ballin torna accompagnato da Gilda, appena sposata. L'incontro tra Johnny e Gilda è piuttosto freddo; i due sembrano conoscersi ma non lo danno a vedere.

L'irrequieta Gilda sa di essere stata comprata dal marito ma non riesce a comportarsi secondo le regole; spesso Johnny è incaricato di seguirla e ricondurla al dovere. L'odio tra i due rivela un precedente rapporto d'amore deluso. Durante la festa del carnevale un uomo viene assassinato nel locale. Ballin fugge inseguito dalla polizia e mette in scena la sua morte: ha bisogno di sparire per un po' di tempo.

Johnny, convinto della sua morte, sposa Gilda, beneficiaria del testamento, ed assume le redini dell'organizzazione che si occupa, tra l'altro, del monopolio del tungsteno. Gilda appare finalmente felice ma Johnny la trascura e le rende la vita impossibile tanto da spingerla a fuggire a Montevideo. Lei cerca di ottenere l'annullamento del matrimonio ma Johnny non ne vuole sapere: è un insanabile rapporto di odio-amore. Nel frattempo il locale viene chiuso dalla polizia e Johnny decide di collaborare, consegnando ad un commissario i documenti di Ballin sul monopolio illegale del tungsteno.

Gilda intanto decide di lasciare Buenos Aires una volta per tutte e Johnny decide di seguirla per ricominciare una nuova vita insieme. Ma ricompare Ballin, intenzionato ad ucciderli perché lo hanno tradito, ma, proprio mentre sta per farlo, è colpito a morte da un cameriere del locale, molto amico di Johnny.

Ora Gilda e Johnny sono liberi di partire per proseguire la loro storia d'amore.

Produzione

Secondo dei tre film interpretati da Rita Hayworth in coppia con Glenn Ford sotto la direzione di Charles Vidor (gli altri due sono Seduzione del 1944 e Gli amori di Carmen del 1948), Gilda fu costruito essenzialmente come veicolo di rilancio per Rita Hayworth, rimasta ferma due anni per maternità (nel 1944 era nata Rebecca dal suo matrimonio con Orson Welles).

La lavorazione del film fu costellata da continui litigi tra Harry Cohn, boss della Columbia e follemente geloso di Rita, e il regista Charles Vidor, che arrivò a chiedere in tribunale la rescissione del contratto che lo legava alla casa di produzione americana[1].

Elemento chiave del film sono i numeri di danza di Rita, creati dal coreografo Jack Cole, che si ispirò alle performances di una vera spogliarellista. Le canzoni Amado Mio e Put the Blame on Mame, quest'ultima eseguita nella famosa scena dello "spogliarello" con i guanti, furono doppiate dalla voce di Anita Ellis, ma rimasero comunque indissolubilmente legati al nome e alla figura di Rita Hayworth.

Le scene più celebri, rimaste nella memoria collettiva, sono la prima inquadratura in cui compare Gilda, quando Mundson le chiede «Sei presentabile?» e lei rovescia la testa all'indietro rispondendo «Io? Lo sono più del necessario!», il già citato numero musicale con l'abito senza spalline e i guanti lunghi e, infine, la scena dello schiaffo.

Critica

Nonostante l'enorme successo di pubblico (nelle prime visioni americane Gilda guadagnò tre milioni di dollari)[1], la critica italiana fu abbastanza severa nel giudicare il film.

Tra forzature (lo scontro per il controllo di un improbabile monopolio del tungsteno) e poco credibili espedienti narrativi (le circostanze casuali in cui viene a comporsi il triangolo affettivo alla base del plot)[2][3], Gilda ripercorre molti dei luoghi del noir. A cominciare dalla voce fuori campo (quella del personaggio interpretato da Ford) cui è affidato il compito di accompagnare lo spettatore attraverso la vicenda. Come in altri film coevi dello stesso genere (Detour, La signora di Shanghai, La fiamma del peccato) il suo ruolo di razionale ed oggettiva riproduzione dei fatti entra in conflitto con l'immagine del narratore che emerge dalle immagini, introducendo nella visione elementi di spaesamento e precarietà. Progressivamente, Johnny[4] rivela una personalità disturbata, con elementi di misoginia, sadomasochismo, probabili pulsioni omosessuali.

Il tema della latente omosessualità del protagonista [5] che spesso, in tempi di Codice Hays, trovava espressione sotto forma di comportamenti misogini, resta controverso. Glenn Ford sostenne di essere stato perfettamente consapevole, con George Macready, di dover "interpretare due omosessuali"[6], ma fu smentito dal regista.[6]

Le circostanze e le responsabilità del disastroso fallimento della precedente relazione tra Gilda e Johnny restano avvolte nel mistero. Quest'ombra di un passato, ignoto allo spettatore, che grava sulle psicologie e sui comportamenti dei personaggi è un altro elemento ricorrente del noir.[7] Come l'ambientazione in paesi esotici o lontani (in questo caso l'Argentina), "in atmosfere equivoche o sensuali, dove l'eroe occidentale affonda nello smarrimento e nella tentazione della perdita di sé".[8] Fondamentale nella creazione di queste atmosfere è la bella fotografia di Rudolph Matè, che peraltro si sarebbe cimentato nel "noir" anche come regista (soprattutto in Due ore ancora).

La "dark lady"

«...una donna, perché sembra una cosa e all'improvviso, sotto i tuoi occhi, ne diventa un'altra, completamente diversa.» Così, in uno dei tanti dialoghi ambigui ed allusivi che punteggiano il film, si esprime Johnny, per denotare il genere sessuale del bastone da passeggio che l'amico Macready porta sempre con sé, oggetto all'apparenza innocuo, ma munito al suo interno di una micidiale lama di acciaio.

La figura della "dark lady", spregiudicata, infedele, dannatrice è forse il carattere più tipico e popolare del noir. Tuttavia, come nota Venturelli, non è infrequente il caso[9] di ritratti femminili la cui ambiguità è solo il prodotto di un distorto sguardo maschile. È così anche per Gilda. La sua ricerca di libertà, i suoi atteggiamenti provocatori, i suoi tradimenti, rappresentano un tentativo di risolvere il conflitto tra la persona reale e la maschera di oggetto del desiderio che le è stata imposta.[10] Rivelatore, al proposito, lo strip-tease, avvolto in un'atmosfera onirica, in cui, mentre canta (peraltro doppiata, come in tutti gli altri pezzi musicali del film)[11] Rita scatena la fantasia di pubblico e spettatori, pur togliendosi un solo guanto.

A partire dagli avvenimenti legati alla carriera dell'attrice, la cui immagine, dal cambiamento del nome, sino al colore e all'attaccatura dei capelli, fu costruita a tavolino dagli studios (soprattutto la Columbia Pictures), inevitabilmente, nel personaggio di Gilda sono stati individuati riferimenti a Hollywood, come macchina per la produzione dei sogni, e allo star-system.

Il fatto che la prima bomba atomica fatta esplodere nel dopoguerra, sull'atollo di Bikini, fosse stata soprannominata Gilda dai soldati e che Franklin Delano Roosevelt, dopo l'uscita del film, definisse l'attrice "una formidabile istituzione americana" testimoniano dell'impatto esercitato da quell'interpretazione sull'immaginario collettivo.

Fu il primo ruolo drammatico dell'attrice, che, negli anni successivi, non riuscì più a sottrarsi al personaggio della femme fatale; dal successivo La signora di Shanghai, diretto nel 1947 dal marito Orson Welles, continuando con Gli amori di Carmen del 1948 (ancora Charles Vidor) e con Trinidad del 1952, diretto da Vincent Sherman.
Riddoppiaggio televisivo [modifica]

Nel 1978 la versione italiana del film è stata riddoppiata con nuove voci per essere trasmessa dalla televisione. La direzione del nuovo doppiaggio è stata affidata a Ferruccio Amendola.

Il riddoppiaggio è il seguente:
Personaggio Interprete Doppiatore
Johnny Farrell Glenn Ford Pino Colizzi
Gilda Rita Hayworth Vittoria Febbi

Note

1. ^ a b Egle Santolini in Ciak, anno IV, n° 7, luglio 1988, pag. 130-131
2. ^ «L'assurdità dell'intrigo...» in Il Morandini. Dizionario dei film 2006, Bologna, Zanichelli editore, 2006.
3. ^ «...vicenda poco verosimile» in Fernaldo Di Gianmatteo, Dizionario del cinema americano, Roma, Editori Riuniti, 1996.
4. ^ «un nome facile da dimenticare e difficile da ricordare» come allusivamente afferma Gilda, che pure con lui ha avuto una tormentata relazione, quando l'ignaro marito la presenta all'amico.
5. ^ «Il triangolo del film è stato interpretato nelle maniere più svariate, comprese le inevitabili letture omosessuali o femministe» in Renato Venturelli, L'età del noir, Torino, Giulio Einaudi editore, 2007. Renato Venturelli, L'età del noir, Giulio Einaudi Editore spa, Torino, 2007, pag. 241.
6. ^ a b Vito Russo, Lo schermo velato, Milano, Baldini&Castoldi, 1999, pag. 101.
7. ^ Gabriele Lucci, Noir, Milano, Mondadori Electa, 2006.
8. ^ Renato Venturelli, op. cit., pag. 58.
9. ^ ad es. Veronica Lake in La dalia azzurra o Lauren Bacall in Il grande sonno
10. ^ Michele Fadda, Gild in Paola Cristalli (a cura di), Dizionario critico dei film, Milano, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2004.
11. ^ con l'unica eccezione della precedente versione acustica di Put the Blame on Mame, in cui l'attrice si accompagna con la chitarra davanti al custode della toilette Zio Pio


















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Notre Dame
























Titolo originale Quasimodo-The Hunchback of Notre Dame
Paese USA
Anno 1939
Durata 117 min
Colore B/N
Audio sonoro
Genere drammatico
Interpreti e personaggi

* Charles Laughton : Quasimodo/Narratore
* Maureen O'Hara : Esmeralda
* Cedric Hardwicke : Frollo

Doppiatori italiani

* Mario Besesti: Charles Laughton
* Lydia Simoneschi: Maureen O'Hara
* Sandro Ruffini: Cedric Hardwicke
* Corrado Racca: Thomas Mitchell
* Ivo Garrani: Edmund O'Brien
* Amilcare Pettinelli: Harry Davemport
* Ennio Cerlesi: Alan Marchall
* Vinicio Sofia:Walter Hamden

Fotografia Joseph H. August
Musiche Alfred Newman
Scenografia Van Nest Polglase

Notre Dame è un film del 1939 diretto da William Dieterle basato sull'omonimo romanzo di Victor Hugo, che aveva già avuto una traposizione nel 1923 e ne avrà altre due nei decenni successivi.

Trama:

A Parigi nel 1482 la zingara Esmeralda(Maureen O'Hara) arriva a Notre Dame con i suoi compagni gitani.Immediatamente,però cominciano a venir perseguitati dalle autorità politiche,che li odiano con tutto il cuore. Quasimodo(Charles Laughton) il campanaro gobbo e deforme di Notre Dame,quando vede per la prima volta Esmeralda, si innamora perdutamente e tenta di rapirla. Ma il suo piano fallisce quando interviene il suo padrone,l'arcidiacono Claude Frollo(Cedric Hardwicke) che lo condanna alla fustigazione.Ma Esmeralda, unica ad aver pena per lui,lo salva.Frollo,che ha un grande odio per gli zingari,uccide una persona e fa ricadere la colpa su Esmeralda.La zingara viene condannata all'impiccagione,ma viene salvata da Quasimodo,che la nasconde nella cattedrale.Il gobbo non ha alcuna intenzione di riportarla dagli zingari, ma vuole tenerla per sempre con sè per non sentirsi più solo. Intanto Frollo,deciso di sbarazzarsi una volta per tutte degli zingari,li attira a Notre Dame e li fa combattere con le guardie. Mentre gli zingari sono impegnati con le guardie,Frollo và nel nascondiglio di Quasimodo e tenta di uccidere sia lui che Esmeralda.quasimodo e Frollo si affrontano a corpo a corpo dove il campanaro ha la meglio. La zingara viene però portata via dagli zingariche lasciano del tutto Parigi.Quasimodo rimane di nuovo solo. "Perché non sono di pietra come te ?" chiede Quaimodo ad un gargoyle della cattedrale,mentre sullo schermo appare la scritta "THE END".













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Selvaggio è il vento

























Titolo originale Wild Is the Wind
Paese USA
Anno 1957
Durata 114 min
Colore B/N
Audio sonoro
Genere Drammatico
Regia George Cukor
Soggetto Vittorio Nino Novarese
Sceneggiatura Arnold Schulman
Interpreti e personaggi

* Anna Magnani: Gioia
* Anthony Quinn: Gino
* Anthony Franciosa: Pietro
* Dolores Hart: Angie
* Joseph Calleia: Alberto
* Lili Valenty: Teresa
* James Flavin: il compratore
* Dick Ryan: il prete

Fotografia Charlse B. Lang jr.
Montaggio Warren Low
Musiche Dimitri Tiomkin, Ned Washington
Scenografia Hal Pereira, Tambi Larsen
Premi

* David di Donatello 1958: miglior attrice protagonista (Anna Magnani)










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