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I Dieci Comandamenti
























Titolo originale: The Ten Commandments

Paese: Stati Uniti
Anno: 1956
Durata: 220 min
Colore: Technicolor
Audio: Western Electric
Rapporto: VistaVision da 1.66:1 a 2:1, elaborato in versione DVD in versione 1.78:1 (16:9)
Genere: Storico
Biblico
Regia: Cecil B. DeMille
Soggetto: J.H. Ingraham
A.E. Southon
Dorothy Clarke Wilson
Sceneggiatura:
Produttore: Cecil B. DeMille

Interpreti e personaggi

* Charlton Heston: Mosè
* Yul Brynner: Ramesse
* Anne Baxter: Nefertari
* Edward G. Robinson: Dathan
* Yvonne De Carlo: Sephora
* Debra Paget: Lilia
* John Derek: Giosuè
* Cedric Hardwicke: Sethi
* Nina Foch: Bithia
* Martha Scott: Yochabel
* Judith Anderson: Memnet
* Vincent Price: Baka
* John Carradine: Aronne
* Cecil B. DeMille: Dio, Voce narrante
* Edward Franz: Sceicco Jethro
* Olive Deering: Miriam
* Douglass Dumbrille: Jannes
* Henry Wilcoxon:Pentauro
* Frank DeKova: Abiram
* Lawrence Dobkin: Hur Ben Caleb
* Fraser Clarke Heston: Mosè (appena nato)
* Ian Keith: Ramesse I
* Eugene Mazzola: figlio di Ramesses
* Lillian Albertson: la schiava
* Adeline De Walt Reynolds: l'anziana schiava

Doppiatori italiani:

* Emilio Cigoli: Mosè
* Nando Gazzolo: Ramesse
* Lydia Simoneschi: Nefertari
* Giorgio Capecchi: Dathan
* Dhia Cristiani: Sephora
* Fiorella Betti: Lilia
* Pino Locchi: Giosuè
* Mario Besesti: Sethi
* Rina Morelli: Bithia
* Giovanna Scotto: Yochabel
* Tina Lattanzi: Memnet
* Gualtiero De Angelis: Baka
* Renato Turi: Aronne
* Luigi Pavese: Dio
* Amilcare Pettinelli: Sceicco Jethro
* Gino Cervi: Voce narrante

Fotografia: Loyal Griggs
Montaggio: Anne Bauchens
Musiche: Elmer Bernstein

Premi:

* Premi Oscar 1957: Oscar per i migliori effetti speciali (John Fulton) vinto su 7 nomination
* National Board of Review Awards 1956: National Board of Review Award al miglior attore (Yul Brinner)

« Il suo dio... è Dio. »

(Ramesse a Nefertari al suo ritorno dal Mar Rosso.)

I dieci comandamenti è un film statunitense del 1956 diretto da Cecil B. DeMille, il remake dell'omonimo film dello stesso regista.

È interpretato da Charlton Heston, Yul Brynner, Anne Baxter, Edward G. Robinson, John Derek, Yvonne De Carlo, Vincent Price e molte altre celebrità dell'epoca.

Il film narra la storia di Mosè, il bambino ebreo salvato dalla madre a seguito di un massacro voluto dal faraone, che, adottato dalla figlia di quest'ultimo, divenne principe d'Egitto e, dopo aver scoperto le sue vere origini, decise di abbandonare la sua vita di lussi e agi e, in seguito, dopo aver affrontato il faraone Ramesse II, suo acerrimo nemico sin dalla gioventù, liberò il suo popolo dalla schiavitù. La trama della pellicola è desunta, oltre che dal libro dell'Esodo, anche dal Midrash, dal Corano e dai testi di Giuseppe Flavio.

Il film è stato distribuito nel circuito cinematografico statunitense il 5 ottobre 1956.[1]

Trama:

« E Dio disse la luce sia e la luce fu. E dopo la luce Dio creò la vita sulla terra. E all'uomo dette il dominio su tutte le cose della terra, e la facoltà di discernere il bene dal male, ma gli uomini preferirono agire a loro piacimento poiché la luce della legge di Dio era loro sconosciuta. L'uomo dominò sull'uomo, i vinti dovettero servire i vincitori, i deboli dovettero servire i forti, e la libertà scomparve dal mondo. Così gli egiziani assoggettarono i figli di Israele, costringendoli ai più duri servigi, la loro vita fu resa amara da una crudele schiavitù ma il loro pianto fu udito da Dio. Allora Iddio dette vita nell'umile capanna egiziana di due schiavi ebrei, Amram e Jocabel, ad un uomo, alla mente e al cuore del quale avrebbe poi dettato le sue leggi eterne e i suoi comandamenti un uomo che da solo avrebbe affrontato un impero. »

(Narratore)

La pellicola si apre sugli ebrei che, schiavizzati dagli egiziani, costruiscono monumenti in onore del faraone Ramesse I (Ian Keith). Il sovrano è però intimorito poiché gli astrologi di corte gli hanno reso noto che una nuova stella, ritenuta malefica, è sorta in cielo, senza profetizzare però l'arrivo di un qualche popolo nemico, come pensa il faraone, ma di un singolo uomo che porterà l'Egitto alla distruzione. L'astro maligno annuncia la nascita di un salvatore, mandato da Dio sulla terra, per liberare il popolo israelita dalla morsa egiziana. Il comandante delle truppe egiziana consiglia a Ramesse I di sterminare gli schiavi ma questi non lo ascolta, poiché gli israeliti sono per lui principalmente una ricchezza. Se il liberatore è fra i neonati è meglio uccidere dunque soltanto loro, questo è l'ordine del faraone.
« "Così sia scritto e così sia fatto". »

(Ramesse I)

I piccoli ebrei vengono così sterminati dalle guardie del faraone, sotto gli occhi terrorizzati delle madri. Ecco però che Yochebed (Martha Scott), una schiava ebrea, accompagnata dalla figlia Miriam, si reca presso il fiume Nilo, portando con sé un cesto. Lo apre, vi è all'interno un bambino, suo figlio. Cerca di salvarlo a tutti i costi dai soldati egiziani. Prega Dio di salvaguardarne la vita e lo abbandona alla corrente del fiume, chiedendo però alla piccola Miriam di seguirlo per scoprire dove i flutti lo trascineranno.

In quello stesso momento, un gruppo di giovani gioca sulle rive del fiume, nelle vicinanze di un enorme palazzo. Fra esse spicca la principessa Bithia (Nina Foch), figlia di Ramesse I, da poco rimasta vedova del marito, incapace di generare figli perché sterile. Mentre le ragazze vengono rimproverate da Memnet (Judith Anderson), una schiava di palazzo, Bithia si allontana per andare a nuotare. Intravede però in lontananza un cesto che galleggia. Lo apre e trova il bambino abbandonato da Yochebed: crede che il Nilo abbia voluto così esaudire le sue preghiere. Lo porta a riva e, rimasta sola con Memnet, le mostra cosa ha trovato. Il piccolo è coperto da un panno ebraico, appartenente alla casta levitica. Bithia decide di adottare il neonato, ma Memnet gli consiglia di non farlo perché il faraone ha ordinato di sterminare tutti i nascituri ebrei. Bithia fa giurare alla schiava che non dirà nulla. La principessa, felice, stringe al cuore il trovatello e lo chiama Mosè, colui che è stato “salvato dalle acque”.

l piccolo cresce, diventa adulto e, mandato in guerra, trionfa sugli etiopi. Al suo ritorno la città è in festa. Dall'alto del palazzo reale, Ramesse (Yul Brynner) osserva Mosè trionfante per le strade. Ramesse è figlio del faraone Sethi I, sovrano saggio e illuminato, succeduto a Ramesse I. Questi dovrà scegliere o Ramesse o Mosè come proprio successore, molti ritengono comunque che voglia eleggere il secondo come erede al trono
« Sceglierò l'uomo che dimostrerà la miglior capacità di governare. Ho questo debito con i miei padri, non con i miei figli. »

(Seti)

A inasprire questa contesa fra principi vi è un'altra questione. Nefertari (Anne Baxter), una giovane molto cara a Sethi, sarà la promessa sposa del futuro faraone. Entrambi sono attratti dalla sua bellezza, solo che Nefertari corrisponde alle attenzioni di Mosè, del quale è innamorata, ma non a quelle di Ramesse.

Ecco quindi Mosè che entra trionfante nel palazzo reale, accompagnato dal generale Pentauro (Henry Wilcoxon), un veterano del faraone, e acclamato dagli elogi dei cortigiani e dalle lodi del gran sacerdote Jannes (Douglass Dumbrille). Saluta Sethi, che si congratula con lui per l'impresa, e presenta alla corte il re d'Etiopia (Woodroom Strode) e sua sorella (Esther Brown), divenuti alleati dell'Egitto. Viene mostrato al faraone l'incredibile bottino di guerra, stoffe, gioielli, oro, argento e altre ricchezze.
Sethi lamenta però di non avere una città del tesoro dove poter conservare questi beni, poiché Ramesse non è riuscito a costruirla. Il principe cerca di giustificarsi dando la colpa agli schiavi ebrei che non hanno voglia di servirlo, speranzosi nell'arrivo del liberatore. Sethi decide allora di dare l'incarico della costruzione a Mosè, a Ramesse ordina invece di scovare il liberatore, vero o finto che sia. A Goscen gli schiavi lavorano senza sosta, senza avere nemmeno il tempo di bere un sorso d'acqua. Dall'alto di un'impalcatura il giovane e forzuto Giosuè (John Derek), lo spaccapietre, scolpisce l'effigie del faraone, poi si accorge della vicinanza della sua amata Lilia (Debra Paget), la portatrice d'acqua, e corre velocemente ad abbracciarla. Ecco però apparire un losco figuro, è Dathan (Edward G. Robinson), il capo sorvegliante; è un ebreo rinnegato, ora al servizio del faraone, temuto da tutti, specialmente Lilia che si sente osservata maliziosamente dal capo sorvegliante.

Dathan si dirige adesso verso Ramesse che gli affida il compito di trovare il liberatore degli ebrei, promettendo grandi doni. Il rinnegato accetta la proposta.

Gli schiavi stanno spostando adesso un enorme blocco di pietra, per incastrarlo con un altro. Le donne più anziane ungono il terreno con del grasso per rendere più scivolosa la pavimentazione e accelerare i lavori. Ecco però che la vecchia Yochebed, la madre di Mosè, rimane incastrata con la cintura al blocco di pietra. Gli schiavi continuano a spingere e la poveretta sta per essere schiacciata fra i due massi. Giosuè, richiamato da Lilia, corre in soccorso della vecchia, ma viene fermato dai sorveglianti. Lilia sfugge alla loro presa e corre verso Mosè per chiedere il suo aiuto, conoscendo la sua magnanimità. Il principe sta discorrendo su alcuni lavori insieme al capo costruttore Baka (Vincent Price), quando viene interrotto dalla giovane. Decide di aiutarla e si reca sul luogo del fatto, rimprovera i sorveglianti per il loro comportamento, e libera la vecchia dalla cintura che la teneva legata al macigno, senza sapere che quella è in realtà sua madre.

Giosuè, benché trattenuto dalle guardie, non esita a lamentarsi di fronte al principe per la mancanza di cibo. Se gli schiavi non mangiano allora lavoreranno più lentamente. Mosè decide di appoggiare la causa degli ebrei e, guidandoli, assalta con loro i granai del tempio, donandogli così il grano, riservato agli dei. Ottiene così il favore e l'appoggio degli ebrei, che lo elogiano per la sua magnanimità.

Questo suscita però le lamentele di Jannes, il gran sacerdote, che si reca dal faraone per narrargli l'accaduto. Presto si celebrerà il giubileo del faraone, dovrà scegliersi il successore di Sethi. Jannes consiglia al sovrano di eleggere Ramesse come erede, ricevendo però un rimprovero dal faraone che apprezza Mosè per le sue capacità. Ecco però entrare Ramesse che, grazie all'aiuto di Jannes, riesce a mettere nella testa del padre il dubbio su un possibile tradimento di Mosè.
« Tiene l'Etiopia alla sua sinistra e Goscen alla sua destra e tu padre mio, stai nel mezzo. »

(Ramesse)

Nel frattempo Mosè è intento a erigere un enorme obelisco in onore del faraone. Secondo Baka la costruzione finirà male, secondo il principe invece andrà tutto per il verso giusto, fiducioso nella forza e nell'appoggio che gli schiavi gli daranno per costruire la città. L'obelisco viene innalzato perfettamente.

Sethi decide di recarsi dal nipote per chiarire la questione, accompagnato da Ramesse e, arrivato di fronte a Mosè, gli chiede se le accuse mosse contro di lui siano vere o false. Mosè risponde di sì, ma riesce a giustificarsi. Mostra dunque il risultato del suo lavoro, una città bellissima e maestosa, degna del dominio di Sethi. Il faraone non sa come congratularsi col nipote e ordina di scolpire sul marmo, insieme al suo nome, anche quello di Mosè, rimproverando il figlio Ramesse per aver calunniato il cugino.
« Per quello che hai fatto, il tuo nome apparirà insieme al mio su ogni pilastro. Il tuo (Ramesse), invece, non apparirà da nessuna parte, poiché ingiustamente hai accusato Mosè tuo fratello! »

(Sethi)

Il principe guarda accigliato il padre che si allontana, Baka crede che perderà presto tutto perché Sethi sembra più propenso a eleggere Mosè come erede. Ramesse nega.
« La città che ha costruito porterà il mio nome, la donna che egli ama sarà la mia sposa, così sia scritto e così sia fatto. »

(Ramesse)

Intanto Nefertari aspetta impaziente il ritorno di Mosè. Ecco però arrivare Memnet, la schiava di palazzo, l'unica, insieme a Bithia, a conoscere il segreto sulla nascita di Mosè. Mostra alla principessa la coperta levitica che teneva il piccolo quando venne trovato sul fiume Nilo, chiara testimonianza della sua origine ebraica. Se Ramesse verrà a saperlo allora Mosè sarà distrutto, pensa Nefertari. Decisa a salvare a tutti i costi il suo amante, la principessa non esita a chiudere per sempre la bocca di Memnet, gettandola dal balcone.

Il panno ebraico rimane per terra. Ecco entrare Mosè, accolto fra le braccia di Nefertari. Una schiava avvisa la principessa della morte di Memnet, ma viene scacciata malamente. Mosè si chiede il perché di questo comportamento e rimane stupito quando scopre, riverso a terra, un panno ebraico. Nefertari cerca di giustificarsi, ma alla fine è costretta a confessare tutto.

Mosè si sente crollare il mondo addosso, decide di recarsi da Bithia per chiedere spiegazioni, ma la principessa non riesce a dare prove convincenti. Mosè va allora a Goscen per incontrare Yochebed, l'unico nome rivelato da Memnet. Bithia riesce a precederlo e ordina alla schiava e ai suoi figli, Miriam (Olive Deering) e Aronne (John Carradine), di abbandonare l'Egitto; Mosè assiste alla scena in silenzio, è dunque un ebreo non un egiziano, figlio di schiavi e non di principi. Non può rinnegare le sue origini e, benché commosso dal pianto di Bithia, decide di restare insieme alla sua gente.

Mosè conosce così le sofferenze del suo popolo, i maltrattamenti, la fatica. In vesti da schiavo lavora insieme agli altri ebrei. Assiste così a scene orribili. Lilia, la portatrice d'acqua, si avvicina a lui per porgli un bicchiere e sta quasi per riconoscerlo quando viene interrotta dalla voce di Baka, il capo costruttore. Questi ordina che la fanciulla sia portata nella propria casa, per divenire sua concubina. Lilia prega di non farlo, perché sarebbe per lei un disonore, ma Baka non ascolta ragioni. Un vecchio schiavo allora prega Dio di maledirlo. Una delle guardie lo colpisce con la sferza per farlo star zitto, ma il vecchio non cede. Il sorvegliante afferra un'accetta e gliela lancia contro, ferendolo a morte. Mosè smette dunque di lavorare per soccorrere il poveretto, ormai in fin di vita.
« Grazie figliolo, ma credi la morte è una liberazione, poiché i miei occhi si chiudono senza che la mia preghiera sia esaudita...che prima di lasciar questa vita potessi vedere colui che guiderà gli uomini verso la libertà. »

(Vecchio schiavo)

Il vecchio muore e a Mosè viene ordinato di svolgere la mansione del morto. Si sente una risata di donna: è Nefertari che l'ha riconosciuto e ordina ai sorveglianti di portarlo alla sua nave perché ha bisogno di un rematore. Mosè non può tornare indietro, deve stare insieme alla sua gente, ma sa che se rimane schiavo, Nefertari dovrà sposare Ramesse, che diventerà nuovo faraone. La principessa riesce però a convincerlo, se diventerà erede di Sethi, potrà liberare gli schiavi quando salirà al trono. Mosè accetta la proposta dell'amata, ma decide di recarsi prima a salvare la giovane Lilia dalle grinfie di Baka.

La portatrice d'acqua viene abbigliata alla perfezione dalle ancelle del capo costruttore. Scoppia però un incendio nelle vicinanze, un carretto va a fuoco. Giosuè è la causa. Le guardie escono per spegnerlo. Baka rimane solo con Lilia, Giosuè entra nel palazzo e libera l'amata, colpendo con un pugno il nobile egiziano. Lilia riesce a fuggire, ma Giosuè viene catturato dalle guardie e legato fra due colonne. Il capo costruttore comincia a frustarlo, ma il giovane spaccapietre resiste in silenzio. Baka non frena la sua sete di sangue e sta per colpirlo ancora con la frusta, quando una mano misteriosa lo ferma, ma non riesce a riconoscere di chi sia. Il misterioso individuo gli salta addosso e solo allora lui lo riconosce, è Mosè. Il giovane ebreo lo uccide e libera Giosuè, deve però scappare velocemente perché se viene scoperto sarà condannato a morte. Giosuè crede che Mosè sia il liberatore e ringrazia Dio, in lontananza si intravede la losca figura di Dathan che ha osservato tutta la scena.

Il giorno dopo Ramesse e le guardie di palazzo cercano l'assassino. Dathan si presenta al principe e gli rivela tutto in cambio del posto di governatore di Goscen. Ramesse accetta la proposta e scopre con sgomento che il liberatore non è solo il personaggio di una favola raccontata dagli ebrei ma è proprio Mosè, il cugino che tanto odia.

È il giorno del giubileo di Sethi, il palazzo è in festa in attesa della scelta che il faraone farà. Ramesse è stranamente allegro. Ordina a Pentauro di far entrare il liberatore degli ebrei. Sethi non vede l'ora di vedere chi si troverà davanti, ma impallidisce quando scopre che il traditore è Mosè. La sala cade nel silenzio, Mosè viene condotto in catene davanti al faraone. Il sovrano crede che questa sia soltanto una messa in scena realizzata da Ramesse e chiede spiegazioni al nipote amato. Mosè rivela la sua identità ebrea e dichiara che se avesse la possibilità di liberare gli schiavi lo farebbe. Sethi non sa cosa rispondere e col cuore gonfio di lacrime è costretto a condannarlo a una pena che Ramesse stesso deciderà:
« Che il nome di Mosè sia cancellato da ogni libro e da ogni tavola, sia cancellato da ogni colonna e da ogni obelisco, cancellato da ogni monumento dell'Egitto, che il nome di Mosè non sia più pronunciato e scompaia dalla memoria di ognuno per sempre. »

(Sethi)

Mosè viene dunque incatenato nelle segrete del palazzo dove riceve la visita di Ramesse e Nefertari. Il futuro faraone gli rivela la sua futura condanna: non vuole che muoia perché non vuole che Nefertari lo ricordi come un martire; sarà abbandonato nel deserto, sarà solo il destino a decidere se salvarlo o meno.

Intanto Dathan è stato nominato governatore di Goscen, servito e riverito. Lilia è diventata adesso di sua proprietà e se si cederà a lui allora Giosuè vivrà, altrimenti verrà ucciso. Lilia, per il bene del suo amato, accetta a malincuore la proposta di Dathan.

Mosè viene portato al confine dell'Egitto dalle guardie di Ramesse, condannato a vagabondare nel deserto. Riceve un bastone, il mantello levitico che Yochebed, prima di morire, ha voluto donargli e le provviste d'acqua e di cibo per un giorno. Dopo diversi giorni di cammino, stanco, disidratato e assetato arriva finalmente in un'oasi dove può nutrirsi dei frutti di una palma e dell'acqua di un ruscello.

Nelle vicinanze alcune ragazze abbeverano il proprio gregge. Sono le figlie di Jetro, lo sceicco di Madian, capitanate da Sefora (Yvonne De Carlo), la figlia maggiore. Trovano Mosè addormentato vicino un cespuglio e cominciano a discutere, non si vedono spesso uomini giovani da quelle parti. Mentre parlano arrivano nell'oasi i pastori amaleciti, decisi a rubare il gregge delle ragazze. Sefora cerca di difendere le pecore, ma viene colpita; interviene allora Mosè che li scaccia con qualche colpo di bastone.

Le ragazze lo portano dal padre che decide di accoglierlo nella sua tenda. Mosè rivela la sua identità al vecchio sceicco che decide di affidargli un lavoro come pastore. Sefora lo guida nella direzione del gregge e gli mostra il monte Sinai, la montagna infuocata dove abita Dio. Grazie all'aiuto di Mosè il gregge di Jetro aumenta e con questo anche il rispetto che il vecchio porta verso il giovane. Decide allora di farlo sposare con una delle sue figlie che, per convincerlo, danzano per lui. Mosè, che conserva ancora nel cuore la figura di Nefertari, non riesce a scegliere e si allontana. Fuori incontra Sefora, l'unica a non aver partecipato al banchetto. È lei che decide di sposare.

Intanto il trono d'Egitto rimane vuoto. Disteso nel suo letto il vecchio Sethi aspetta che la morte si avvicini circondato da Nefertari, Ramesse e i sacerdoti reali. È solo Nefertari l'essere che lascia a malincuore, l'unica persona che ha amato. Ricorda però che un tempo c'era posto anche per qualcun altro nel suo cuore, e in punto di morte, infrangendo la sua stessa legge, lo nomina dopo tanto tempo: Mosè! E con questo nome esala l'ultimo respiro.

Sono passati già diversi anni, Mosè vive alle pendici del Sinai con la moglie Sefora e il figlioletto Gherson. Mentre fa pascolare le pecore sente che i cani abbaiano. Si avvicina e trova un uomo appeso a una roccia, è Giosuè, fuggito dalle miniere in cui era stato rinchiuso. Lo fa abbeverare, gli da del cibo e cerca di scoprire cosa gli è successo. Mentre parlano nota però che in cima al monte si trova una strana luce, un roveto che arde ma che non è consumato dal fuoco. Decide di andare a vedere e scala il santo monte.

Dal rovo ardente proviene una voce che lo chiama e gli ordina di togliersi i calzari poiché calpesta terra sacra. Mosè obbedisce agli ordini e si inginocchia, comprende che è Dio a parlare per mezzo del roveto. Gli chiede perché non ascolta il pianto del suo popolo in Egitto, ma il Signore conosce il dolore della sua gente e per questo ha deciso di mandare Mosè dal faraone per chiedere la loro liberazione. Mosè non sa come fare, ma sarà Dio stesso ad aiutarlo, lui gli dirà cosa dire, lui compirà prodigi per convincere Ramesse a liberare gli schiavi. Dopo essere usciti dall'Egitto dovranno tornare sul monte Sinai, lì Lui donerà a Mosè le sue leggi eterne.

Sefora e Giosuè, rimasti a valle, discutono quando ecco apparire Mosè, illuminato in volto, diverso dal solito, adesso Dio è dentro di lui. Libererà il suo popolo, Giosuè esulta, gli ebrei si armeranno e colpiranno gli egiziani. Mosè dichiara che farà in altro modo.
« Non è con la spada che il Signore libererà il suo popolo, ma con il bastone di un pastore. »

(Mosè)

Mosè torna così in Egitto e, in compagnia del fratello Aronne, si reca presso la corte del faraone. Diversi ambasciatori si recano quella giornata presso Ramesse e sua moglie Nefertari, come l'ambasciatore del re Priamo di Troia, che conduce un lenzuolo di seta, o quello di Gerico. Mosè parla al faraone come ambasciatore del regno di Dio. Nefertari lo riconosce subito e freme per riabbracciarlo.
Categoriche le parole di Mosè: Lascia partire il mio popolo.
Ramesse rifiuta subito l'assurda proposta del profeta, ma si diverte nell'ascoltarlo. Per dimostrare quanto sia deciso Mosè ordina ad Aronne di gettare ai piedi del faraone il suo bastone che, in un istante, si trasforma in un cobra. Nefertari e suo figlio si allontanano terrorizzati, solo Ramesse non sembra spaventato. Jannes lancia il suo bastone, compie lo stesso prodigio. Ecco però che, lasciando perplessi tutti, il bastone trasformato in cobra da Mosè divora quello trasformato da Jannes e dai suoi accoliti. Ramesse non è per nulla scosso, non vuole obbedire al volere di Dio. Anzi, ordina che gli schiavi ebrei da quel giorno in poi dovranno fabbricare i mattoni senza paglia, un'azione impossibile che solo un prodigio avrebbe potuto adempiere.
« Ma il numero di mattoni non dovrà diminuire, così sia scritto e così sia fatto. »

(Ramesse)

Mosè è costretto ad allontanarsi, circondato dalle risate degli ambasciatori e dagli occhi innamorati di Nefertari.

Gli ebrei di Goscen esultano vedendo tornare Mosè e lo acclamano come loro liberatore. Chiedono quando usciranno dall'Egitto, ma Aronne rivela loro la triste verità: non saranno liberi e dovranno anzi lavorare ancora di più. Mosè è affranto e Dathan, che ha assistito alla scena, aizza il popolo contro il profeta, chiedendo la sua lapidazione. Il messaggero di Dio non ha paura, chiede solo che la sua gente conservi la fede.

Ecco però che a salvarlo arriva un aiuto inaspettato, le guardie del faraone. Mosè viene preso e condotto alla nave di Nefertari. Lo ama ancora, era sicura di non rivederlo più e non crede al suo cambiamento. Mosè però deve servire Dio e non può amare la moglie di un altro, specialmente di colui che opprime il suo popolo. Ormai lui appartiene a Dio, al suo popolo e a Sefora. Nefertari impallidisce non appena sente il nome della giovane pastorella, cerca di tentarlo a tornare con lei. Di certo una pastorella puzzerà come un |montone, non sarà cosparsa di oli e creme profumate come lei, avrà le labbra arse dal sole, non rosse e belle come le sue. Mosè la interrompe, Sefora ha la bellezza dell'animo, una bellezza che Nefertari non riesce a comprendere. Nefertari decide di fare un patto col profeta, se lui tornerà da lei allora lei convincerà Ramesse a liberare gli ebrei. Sembra che Mosè stia per cedere, ma il suo spirito è forte e lui si allontana.

Le donne israelite cominciano intanto a riempire le giare d'acqua, Miriam ha sentito dire dal fratello che presto l'acqua finirà. Giosuè, tornato a Goscen con Mosè, rincontra dopo tanto tempo Lilia, diventata concubina di Dathan solo per salvarlo. Giosuè giura che la libererà, ma Lilia crede che nemmeno Mosè riuscirà a salvarla dalla schiavitù che l'opprime, una schiavitù dell'animo non del corpo.

Nello stesso momento Ramesse e i suoi sacerdoti celebrano un rituale in onore del dio Nilo, Mosè e Aronne si recano dal faraone per parlare con lui. Questa volta il prodigio sarà maggiore di quello dei serpenti, il Nilo potrà tingersi di sangue se Ramesse non obbedirà al volere divino. Il sovrano non sembra scosso e rifiuta la proposta dei due ebrei. Mosè allora ordina ad Aronne di stendere il bastone sulle acque del Nilo. Non appena il bastone sfiora le acque, queste si tingono di sangue. Per sette giorni l'Egitto soffrirà per la siccità.
« Allora Dio rovesciò sull'Egitto ogni genere di piaghe, ma il cuore del faraone era ancora di pietra. »

(Narratore)

Il popolo è in subbuglio, chiede la liberazione degli ebrei, ma Ramesse non cede. Jannes implora il faraone di ascoltare le parole di Mosè e invita il profeta al suo palazzo. Ramesse confessa che queste piaghe l'hanno spaventato in un primo momento, ma alla fine ha capito che questi prodigi erano solo opera della natura e non di Dio. Mosè allora minaccia di scagliare contro l'Egitto due piaghe ancora più incredibili: una grandinata infuocata e l'oscurità per tre giorni di seguito. Ramesse lo caccia dal suo palazzo, non crede alle sue parole ma, mentre ancora ripensa a queste cose, ecco che dal cielo comincia a piovere grandine infuocata.

Dopo i tre giorni di oscurità i ministri del faraone si radunano attorno al loro signore, chiedono la liberazione degli ebrei. Ramesse sta ormai per cedere, lo scriba ha già scritto il mandato per lasciare andare via dall'Egitto gli ebrei. Ma Nefertari, desiderosa di vendetta, si avvicina furtiva al marito e lo incita a resistere, per non dimostrarsi debole di fronte agli altri re. Ramesse ascolta le parole della moglie. Mosè viene convocato a palazzo, il faraone schiaccia il documento di fronte agli occhi del profeta e dei ministri disperati. Mosè minaccia di scagliare un'ultima orribile piaga sull'Egitto, talmente orribile da costringere il faraone a mandarli via. Ramesse va su tutte le furie e ordina al profeta di non ripresentarsi più
« Non tornare più da me, Mosè. Perché il giorno in cui rivedrai la mia faccia sarà l'ultimo tuo giorno. »

(Ramesse)

Mosè non sembra spaventato e si allontana. Il faraone ordina alle guardie di palazzo di radunare il suo esercito, quella stessa notte tutti i primogeniti ebrei verranno uccisi, a cominciare dal figlio di Mosè.

Nefertari non sembra contenta, non voleva succedesse tutto questo. Decide dunque di recarsi a Goscen per chiedere a Sefora di fuggire a Madian insieme al figlio, per salvarlo dalla morte. Mosè, ignaro di tutto, torna a casa, ma non trova nessuno. Nefertari è lì ad aspettarlo. Gli spiega tutto ciò che è successo, la fuga di Sefora e l'ordine di Ramesse. Mosè è come illuminato, l'ordine del faraone si ritorcerà contro di lui, non saranno i primogeniti ebrei a morire, ma quelli egiziani. Nefertari impallidisce, suo figlio morirà, prega Mosè di salvarlo, lei ha salvato il suo. Il profeta ha il cuore in gola, neanche lui vorrebbe dare una pugnalata simile a una persona che, seppur non ami più, è stata un tempo nel suo cuore, ma lui è soltanto uno strumento nelle mani del Signore. Il figlio di Nefertari non può essere salvato perché è anche figlio di Ramesse. La regina va via, sicura che Mosè non ucciderà suo figlio perché la ama ancora. Non appena esce il profeta scoppia in un attacco di ira e chiede a Dio il perché di tutto questo.

Si salveranno solo i primogeniti le cui case saranno contrassegnate con il sangue di un agnello nell'architrave. Giosuè corre verso la casa di Dathan, dove è rinchiusa Lilia, e, senza che nessuno se ne accorga, segna la porta col sangue dell'agnello per salvaguardarla dalla morte.

La luce lunare viene ottenebrata da un misterioso fumo verde che forma nel cielo la figura di una mano scheletrica. All'interno delle proprie case gli ebrei celebrano la Pasqua, la festa della liberazione, mangiano pane non lievitato ed erbe amare. Tutt'intorno si odono le grida delle madri egiziane e dei loro figli. Bithia chiede a Mosè di poter entrare insieme a loro, il profeta accetta e la ospita. La principessa chiede di poter partire anche lei insieme agli ebrei, questi rifiutano la proposta, ma Mosè accetta perché chiunque ha sete di libertà può venire con loro.

Dal palazzo reale, Ramesse e i suoi soldati osservano il morbo che si propaga, un fumo verdastro invade le strade egiziane. Vedono il morbo che sale lentamente i gradini del palazzo e li circonda. I soldati si stringono spaventati. Ramesse ordina al figlio primogenito di Pentauro di richiamare le truppe per cominciare lo sterminio dei primogeniti ebrei. Il morbo li avvolge, il ragazzo cade per terra morto, Ramesse comprende che la vita del figlio è seriamente in pericolo e corre verso le sue stanze. Il piccolo è nel letto moribondo insieme alla madre e a uno sbigottito medico. Ordina alla sua guardia personale di chiamare subito Mosè, gli ebrei saranno liberi purché suo figlio rimanga in vita.

Il faraone ha perso, è solo nella sala del trono, disperato, rimpiange tutto ciò che Mosè gli ha tolto, l'amore di suo padre, del suo popolo, di sua moglie e ora anche quello di suo figlio. Gli ebrei sono liberi, potranno prendere ciò che vogliono basta solo che lascino l'Egitto. Proprio mentre il profeta esce dal palazzo, Nefertari entra nella sala del trono con il corpo esanime del piccolo. Ramesse è pietrificato, prende in braccio il figlio morto e lo pone sulla statua del dio Sokar, chiedendone la vita.

Passa la notte, è mattina. Gli ebrei suonano i corni esultanti.
« Sorgi o Israele! Guarda l'alba della libertà. »

(Aronne)

Le strade egiziane si riempiono di ebrei, ora liberi e non più schiavi. Portano con sé i propri animali, le proprie cose, le proprie famiglie, speranzosi nel futuro, sicuri che Dio presto troverà una terra soltanto per loro. Le guardie del faraone vedendo come anche nell'architrave della casa di Dathan si trovi del sangue lo buttano fuori e gli ordinano di andare via con gli ebrei. Giosuè dà un ordine e una direzione a ognuno, Aronne insieme ai sacerdoti conduce in processione il feretro di Giuseppe per riportarlo nella sua terra natia e Mosè, commosso, osserva il suo popolo finalmente libero. Il profeta alza il bastone trionfante, finalmente si può partire. Gli ebrei lasciano così per sempre quella terra dove avevano conosciuto solo sofferenza e vergogna.

Intanto il cuore di Ramesse si fa sempre più duro, di pietra. Prega le divinità egizie, ma queste non lo ascoltano. Nefertari lo riporta alla realtà, suo figlio è morto e adesso coloro che sono stati causa della sua morte, Mosè e la sua gente, esultano trionfanti perché hanno beffato il sovrano d'Egitto. Ramesse va su tutte le furie, ordina che sia schierato l'esercito, che sia preparato il suo cocchio, che sia portata la sua armatura. Inseguirà gli ebrei e li sterminerà uno ad uno, lui stesso schiaccerà sotto le ruote del suo carro Mosè. Nefertari prende la sua spada, dovrà ucciderlo con quella lama, farlo soffrire. Ramesse accetta la proposta e promette alla moglie che non appena sarà tornato con quella stessa spada ucciderà anche lei. Suonano le trombe dell'esercito egiziano, l'intera cavalleria del faraone si raduna di fronte le porte della capitale, primo fra tutti il cocchio di Ramesse.
« I vostri primogeniti sono morti. Morte agli schiavi! E così al loro dio! »

(Ramesse)

Viene suonata la carica, la cavalleria comincia a marciare, direzione il mar Rosso, dove Mosè e gli altri ebrei sono accampati. Dall'alto del palazzo reale, Nefertari osserva il marito che si allontana col suo esercito.

Giosuè e Caleb vedono che stanno per arrivare i carri guidati dal faraone, sono in trappola, da un lato l'esercito dall'altro il mare. Suonano l'allarme. Tutti gli ebrei vengono radunati sulla riva del mare. Dathan incita il popolo a consegnare Mosè al faraone. Il profeta rimprovera l'infedeltà della sua gente che non crede ancora ai prodigi che Dio è in grado di compiere.

Ed ecco infatti, proprio mentre l'esercito egiziano si avvicina agli ebrei, un enorme muraglia di fuoco ferma il loro passaggio. Ramesse crede sia solo un trucco, ma Pentauro lo ferma, ha compreso che quel fuoco è opera del Dio degli ebrei. Gli egiziani non possono più inseguirli, ma il mare è sempre davanti a loro. Mosè allora apre le braccia e per volontà divina le nuvole si addensano in mezzo alle acque e dividono il mare in due muraglie, fra le quali è possibile arrivare all'altra riva del mar Rosso. Il popolo è spaventato ma, guidato da Giosuè, passa fra le acque. Giungono finalmente all'altra riva.

La muraglia di fuoco però si spegne, Ramesse ordina ai suoi soldati di muovere contro gli ebrei, seguendo il loro stesso tragitto. Arrivato a riva però si ferma, un faraone non può trucidare tutta quella gente, lui vuole soltanto Mosè. Pentauro ordina la carica, i carri entrano nel mar Rosso. Gli ebrei sono terrorizzati, ma non c'è bisogno di aver paura. Le acque del mare si richiudono e tornano al loro stato attuale, travolgendo la cavalleria egiziana e lasciando in vita soltanto Ramesse che, dalla costa, osserva impotente la scena.

Il faraone non può fare più paura adesso, gli ebrei sono liberi dalla sua oppressione. Nefertari aspetta impaziente il ritorno del marito col sangue di Mosè. Ramesse entra nel palazzo, si dirige verso il trono con la spada in pugno, sta per ucciderla, ma lei le chiede di mostrargli il sangue. Ramesse si siede, ha perso definitivamente.
« Il suo dio... è Dio. »

(Ramesse)

Gli ebrei giungono così alle pendici del monte Sinai, Mosè sale sulla cima, seguito dal sempre fedele Giosuè. Ma dopo quaranta giorni non si hanno notizie, gli ebrei vanno dunque a consiglio. Dathan è sicuro che Mosè sia morto ed è supportato da gran parte del popolo, Aronne cerca di mantenere salda la fede nei suoi compagni ma non viene ascoltato. Secondo Dathan la cosa migliore da fare, se non si vuole morire di fame, è tornare in Egitto con un idolo d'oro da donare al faraone. Aronne cerca di calmarli ma non ci riesce, anzi viene costretto a realizzare la statua, raffigurante un vitello d'oro. I bracciali e le collane delle donne, vengono fusi, insieme ai tesori portati via dall'Egitto. Gli ebrei iniziano a far festa, in un angolo dell'accampamento Lilia, Miriam, Sefora, Bithia e altri osservano la scena impotenti.

Mosè, ignaro di tutto, chiede al Signore il perché di tanta attesa. Ecco Dio gli si presenta sotto forma di una colonna di fuoco. Stacca dalla roccia due tavole nelle quali incide dieci comandamenti, da seguire per essere fedeli a lui.

Intanto al campo il peccato dà sfoggio di tutte le sue nefandezze, Dathan sicuro di sé, vuole ricondurre gli ebrei schiavi in Egitto e prendersi tutto il merito. Ordina inoltre di prendere Lilia e sacrificarla al nuovo Dio. Abiram e Core, il fratello e un amico di Dathan la afferrano e stanno per ucciderla quando dall'alto si avverte un suono d'allarme.

È il corno di Giosuè, Mosè è tornato con in mano le tavole della legge, radioso in volto. Maledice coloro che hanno servito l'idolo d'oro e chiede una scelta alla sua gente, chi è dalla parte del bene verrà verso di lui, chi da quella di Dathan rimanga vicino l'idolo. La maggior parte del popolo rimane fedele a Dathan e al suo idolo, una minor parte si avvicina a Mosè. Il profeta, su tutte le furie, lancia le tavole dei dieci comandamenti contro il vitello d'oro. Dal cielo piovono fulmini, la terra si apre. Dathan, Abiram e Core sprofondano nel baratro, gli idolatri ardono nel fuoco generato dai fulmini.

Per altri quarant'anni il popolo ebraico deve vagabondare per il deserto, finalmente si arriva nella Terra Promessa, ma Mosè non può entrarvi. Ormai anziano e stanco sale sul monte Nebo insieme a pochi fedeli e affida l'incarico di guida a Giosuè, compagno di tutte le sue peregrinazioni.
« Andate e proclamate la libertà fra tutte le terre e fra tutti i suoi abitanti. »

(Mosè)

E come diceva Ramesse: Così fu scritto e così fu fatto!

Cecil B. De Mille voleva inizialmente affidare la parte di Mosè a William Boyd, ma questi rifiutò il ruolo per l'avvento della televisione. Henry Wilcoxon, l'attore che fungeva in quel tempo da produttore, notò un'impressionante somiglianza fra Charlton Heston e la statua del Mosè di Michelangelo.[2] Fece disegnare la barba e i capelli della scultura su una foto dell'attore e la mostrò a De Mille che, durante un viaggio in Italia, constatò di persona la somiglianza e accettò di assegnare il ruolo a Heston, con il quale aveva già lavorato in una precedente pellicola, “Il più grande spettacolo del mondo”.[3]

L'attore preparò scrupolosamente il proprio ruolo, documentandosi sulla figura di Mosè per capirne le emozioni e i sentimenti, e sulla storia dell'Egitto, per comprendere lo stile di vita di un principe dell'epoca e il modo in cui si sarebbe comportato[4].

La troupe, recatasi direttamente sul monte Sinai per girare alcune scene, alloggiò nell'antichissimo monastero di santa Caterina, che è ai piedi del monte. Lo stesso Heston racconta che, la notte in cui alloggiarono nel monastero, l'abate invitò De Mille e lo stesso Heston a cena. Mentre discutevano, all'attore venne un'idea: “Signor De Mille, è mia impressione che se senti la voce di Dio, la senti dentro di te. Mi piacerebbe fare la voce di Dio che proviene dal roveto ardente”. Il regista pensava di non accettare la proposta, ma fu lo stesso abate a ritenere che non fosse affatto una cattiva idea. E così avvenne.

Vi è ancora un altro aneddoto sulla figura di Mosè e sulla sua realizzazione. I costumisti che disegnarono la tunica di Mosè in rosso, bianco e nero, scelsero quei colori perché davano una buona impressione sullo schermo, e solo in seguito scoprirono che erano i reali colori della tribù di Levi. La tunica venne poi donata da De Mille ad Arnold Friberg, il disegnatore del costume, che ne è ancora in possesso.

Il cast di attori non protagonisti dei Dieci Comandamenti era imponente. Erano tre i pretendenti per il ruolo di Ramesse. Il favorito, in un primo momento, era William Holden. De Mille voleva però che Ramesse fosse rasato come nella realtà. La scelta cadde allora su Yul Brynner che, con il suo corpo muscoloso e i suoi lineamenti marcati, risultava ideale per un personaggio del calibro di Ramesse.

Per il ruolo di Nefertari la scelta fu dettata unicamente dal fisico del personaggio. De Mille aveva in mente Audrey Hepburn per quel ruolo. L'attrice, tuttavia, non aveva il fisico adatto per indossare i vestiti della principessa egiziana. Anne Baxter doveva già interpretare il ruolo di Sefora, la moglie di Mosè ma, quando De Mille le fece indossare le vesti e il copricapo di Nefertari, risultò perfetta nel ruolo della principessa egiziana e fu quindi scritturata per quel ruolo.[2]

Il ruolo di Dathan doveva originariamente essere interpretato da Jack Palance.[5] Dathan e Mosè erano infatti, secondo alcuni testi, lontani cugini e secondo De Mille vi era qualche somiglianza fra Jack Palance e Charlton Heston. L'agente dell'attore chiese però di togliere diverse pagine dalla sceneggiatura perché non voleva che il suo cliente interpretasse la parte di un personaggio così negativo come Dathan. La scelta di De Mille cadde allora su Edward G. Robinson.[6]

Debra Paget fu scelta e scritturata da Henry Wilcoxon, il produttore e attore. Nel libro in cui descrive la lavorazione del film, Katherine Orrison narra un aneddoto sul rapporto fra la Paget e De Mille: nella scena in cui Edward G. Robinson e la Paget discutono sul destino di Giosuè condannato a morte, l'attrice doveva rappresentare un personaggio sull'orlo del pianto. De Mille, per rendere il momento più realistico, la rimproverò aspramente prima della scena, così da farla realmente rattristare.

Giosuè doveva essere interpretato dal massiccio e muscoloso attore Clint Walker, ideale nel ruolo di un tagliapietre. Wilcoxon scelse però John Derek, seppur più gracile per quella parte, poiché aveva la stessa esperienza di Debra Paget.

Anche nella scelta delle comparse, De Mille fu intransigente. Gli attori che volevano interpretare il ruolo degli schiavi dovevano recarsi da lui personalmente e togliersi la camicia. Il regista avrebbe poi deciso se erano credibili come schiavi e se erano abbastanza abbronzati (tenuto conto che gli schiavi ebrei lavoravano sotto il sole africano).

De Mille ingaggiò inoltre il vero esercito egiziano per realizzare la scena del Mar Rosso e l'inseguimento degli israeliti da parte di Ramesse. Ricordiamo inoltre che l'auriga del faraone era Abbas El Boughdadly, maggiore nell'esercito e nipote adottivo di De Mille.

Il regista e la sua troupe passarono cinque anni in pre-produzione: ogni scena aveva un proprio storyboard, infatti ci vollero 3 anni per sceneggiarlo,[7] 2 per prepararlo,[7] 20.000 comparse e 15.000 animali.[8] Per la prima e unica volta nella sua carriera De Mille fece uso delle tecnologie del widescreen, per la precisione usò il VistaVision.[2]
Nel giugno del 1954, 81 membri della troupe andarono in Egitto per iniziare a lavorare al film. Al loro arrivo 80 tecnici egiziani si unirono a loro. Ci vollero quattro mesi per cercare le location e costruire i set per gli esterni. De Mille arrivò solo ad ottobre e passò due mesi a visitare la penisola del Sinai e la valle dei Re.
Giunti ad Alessandria il regista e il suo seguito si recarono a Beni Yusef, dove si trovava il set della porta della città egizia, con l'enorme valle delle sfingi. Le mura erano alte oltre 30 metri. Venivano usati i modelli delle strutture originali dell'Egitto. Per la scena dell'Esodo, vennero ingaggiati interi villaggi. Erano circa 20.000 comparse. Vennero tutti alloggiati in tende fuori dai cancelli di Beni Yusef. Durante la lavorazione Cecil B. De Mille ebbe un attacco di cuore e fu la figlia a prendere le redini del lavoro,[2] sostenuta da gran parte della troupe. Dopo tre giorni il regista tornò comunque al lavoro.

Nel Natale del 1954, la troupe lasciò l'Egitto e tornò agli studi della Paramount di Hollywood. Le riprese furono completate a metà agosto dell'anno dopo. Tutti gli stage degli studi vennero modificati per dare spazio ai magnifici scenari del film.

Per realizzare la scena dell'apertura delle acque, John P. Fulton utilizzò un abile espediente. C'erano delle enormi vasche all'interno degli studi della Paramount nelle quali furono versati 300.000 galloni d'acqua; l'immagine fu poi ripresa all'inverso, rendendo l'idea che le acque stessero rientrando, quando in realtà stavano cadendo. Ispessirono poi l'acqua con della gelatina, per darle maggior consistenza.[2] Anche l'allora giovanissimo Steven Spielberg rimase sbalordito da questa scena e vi fece esplicito riferimento nel remake d'animazione Il principe d'Egitto (1998) da lui prodotto.

Riguardo alle piaghe d'Egitto, durante la scena in cui il Nilo diventa di sangue, William Sapp, uno degli addetti agli effetti speciali, era sommerso nelle acque con una canna da giardino in mano. Non appena John Carradine, che svolgeva il ruolo di Aronne, colpì l'acqua con il bastone, dalla canna da giardino Sapp fece uscire un getto di vernice rossa. Riguardo a questa scena ricordiamo inoltre che il vaso che utilizza Yul Brynner per purificare il Nilo era stato costruito da llo stesso William Sapp e aveva due uscite, una per l'acqua pura e una per quella rossa. Bastava solo toccare un pulsantino per far così fuoriuscire l'acqua rossa e rendere l'idea che l'acqua si fosse tramutata in sangue.

Anche per la grandine infuocata William Sapp utilizzò originali idee. I chicchi di grandine che noi vediamo cadere dal cielo sono in realtà pop-corn buttati dagli assistenti di De Mille, posti sopra una pedana. L'animazione del fuoco verrà poi aggiunta in seguito.[2]

De Mille aveva inserito nella sceneggiatura anche la piaga delle rane. Bill Sapp le costruì e furono messe in scena, girando così una scena in cui Anne Baxter veniva inseguita dalle rane. Benché realizzata alla perfezione e con molta professionalità, fu cancellata dalla pellicola perché sarebbe risultata comica agli spettatori.

In quanto ai dieci comandamenti e alla loro realizzazione per ordine divino, William Sapp si trovava dietro la parete su cui vengono scolpiti dalla colonna infuocata, tenendo della polvere da sparo. Ogni volta che la fiamma divina sembrava colpire la parete, Sapp faceva esplodere la polvere da sparo, dando l'effetto del fuoco che scrive i comandamenti.

De Mille utilizzò diversi espedienti per rendere più realistica la pellicola ad esempio ordinò di costruire le tavole dei dieci comandamenti con vero granito del Sinai. Inoltre nella scena in cui Yochebed sta per essere schiacciata fra i due blocchi di marmo il regista aveva inserito dietro i blocchi un trattore in moto che veniva quindi trattenuto dalle comparse, che in tal maniera subivano davvero uno sforzo, rendendo così la scena più realistica.

Anche per la scelta dei costumi De Mille ordinò che vi fosse il massimo di storicità. Basandosi sui rilievi di Abu Simbel, raffiguranti la battaglia di Kadesh, e sulle statue del Nuovo regno, vennero realizzate le armi di Ramesse (ricordiamo che la spada che utilizza è stata comprata dal costumista del film "Sinuhe l'egiziano") e gli abiti di Nefertari. I costumi vennero in seguito venduti e riutilizzati per il film, “Sinhue l'egiziano”, ambientato alcuni anni prima, e precisamente nel periodo di regno di Akhenaton. Nel cast figurano personaggi che hanno lavorato anche sul set de “I dieci comandamenti”. In quanto alla storicità dei personaggi, De Mille sapeva molto bene che gli egiziani portavano un pesante trucco sugli occhi ma non volle inserire questo elemento nella pellicola, poiché era sicuro che il pubblico degli anni 50' non avrebbe mai accettato di vedere Mosè o il faraone con gli occhi truccati.

Venne scelto originariamente Victor Young, che già aveva lavorato con De Mille nel precedente "Il più grande spettacolo del mondo", per realizzare la colonna sonora dell'opera. Durante le riprese l'autore venne colpito però da una grave malattia che, dopo qualche anno, l'avrebbe portato alla morte.

Young decise dunque di affidare il compito a Elmer Bernstein, incaricato di comporre solo alcune musiche occasionali, quali ad esempio il ballo delle figlie di Jetro. Il giovane Bernstein, per intercessione di Young e del capo del dipartimento di musica, Roy Fiesta, riuscì a ottenere la sua candidatura.

Lavorò ininterrottamente per tre mesi al fine di registrare le musiche adatte per la pellicola. Egli stesso narrò in un aneddoto, riportato in uno dei documentari inseriti nel Dvd, che, prima di orchestrare i brani, egli stesso lo suonava al piano in presenza di De Mille che di conseguenza accettava o meno di inserire il brano nella pellicola.

Le musiche dell'epico film di De Mille, realizzate da Elmer Bernstein, vennero rimasterizzate e rieditate diverse volte e in diversi volte, per 6 volte in formato CD, e per ben 15 volte in formato LP. Le musiche, in complessivo, hanno una durata di ben 2 ore e 19 minuti

1. Overture (01:36)
2. Main title - Prologue (05:40)
3. Slaying of the first born - in the bulrushes (04:24)
4. Nefritiri (00:54)
5. Throne room (01:55)
6. Love and ambition (03:55)
7. The bitter life (03:24)
8. Temple grainery (01:11)
9. Treasure city (04:32)
10. Death of Memnit (02:09)
11. The hard bondage (02:10)
12. The mud pits (03:58)
13. Nefretiri's barge - Death of Baka (07:53)
14. Egyptian dance (02:22)
15. Farewell to Moses (03:18)
16. Dathan and Lilia (01:09)
17. Exile - The crucible of God (04:08)
18. Jethro's daughters (02:17)
19. The holy mountain (03:24)
20. Bedouin dance (01:30)
21. Moses and Sephora (06:10)
22. Burning bush - End of act one (06:16)
23. Intermission music (02:42)
24. Thus sayeth the Lord (04:06)
25. Bricks without straw (00:42)
26. Lily at the well (01:28)
27. Blessing of the waters (00:26)
28. The water turns to blood (01:28)
29. Days of darkness (01:49)
30. The plagues (04:25)
31. Freedom! (02:20)
32. Exodus part one (07:08)
33. Exodus part two (02:55)
34. The wrath of the Pharaoh (03:28)
35. The red sea (08:21)
36. Orgy complete (09:59)
37. Destruction and finale (03:52)
38. Exit music (05:22)

Un investimento di 13 milioni di dollari e un incasso immediato di 43 e totale di 80[9] (per incassi rivalutati, nel 2000 il film era ancora tra i primi dieci del mondo),[10] fece di questo film un kolossal cinematografico. Un uso incredibile di effetti speciali stupì il pubblico di tutto il mondo.

Il film venne candidato a 7 Oscar:[11]

* Miglior film
* Miglior fotografia
* Miglior montaggio
* Migliore scenografia
* Migliori costumi
* Miglior sonoro
* Migliori effetti speciali

Il 27 marzo 1957 durante la 29ª edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar il film vinse la statuetta per gli effetti speciali.[11].

Grazie all'interpretazione di Mosè, Charlton Heston ebbe una nomination al Golden Globe come miglior attore protagonista.[11]

Nel 1999 è stato inserito fra i film preservati dal National Film Registry presso la Biblioteca del Congresso in quanto «culturalmente, storicamente o esteticamente significativi». [11]

Per anni la pellicola venne trasmessa nelle chiese cristiane e nelle sinagoghe ebraiche. La televisione trasmetteva il film ogni in occasione della Domenica delle Palme e della Pasqua sia cristiana che ebraica.

Morando Morandini assegna nel suo dizionario 2 stelle al film su un massimo di 5, definendolo un "Cocktail di grandiosità spettacolare"[12] per evidenziarne i meriti tecnici e produttivi ma mettendo contemporaneamente in risalto anche i difetti, dovuti principalmente all'esagerazione stilistica e alla sua prolissità.
« Kolossal in cui De Mille ha messo tutte le sue ambizioni culturali e le sue astuzie. Uno dei massimi incassi mondiali. Scene di massa mozzafiato, colori e costumi bellissimi, ottimo cast. Sottile e perfido il faraone di Brynner. »

(Laura e Morando Morandini, Telesette)

Diversamente Pino Farinotti nel suo dizionario del cinema assegna al film addirittura 5 stelle, il maggior voto possibile.[13] Nella sua recensione Farinotti definisce il film come un'opera meritevolissima e troppo spesso considerata ingiustamente inferiore ai grandi capolavori di Hollywood; scrive inoltre:
« Nei Dieci comandamenti tutto è perfetto: l'aspetto degli attori, i costumi, le armi, la natura, gli edifici, i trucchi, la musica, le inquadrature.[13] »


Anche Francesco Minnini si esprime favorevolmente, scrivendo:
« Uno dei film più visti della storia del cinema. De Mille, che ne aveva già diretto una prima versione nel 1923, si sentiva a casa propria tra le pagine della Bibbia che interpretava molto in senso spettacolare e pochissimo in quello teologico e storico. E lo spettacolo c'è ; la costruzione della piramide, le piaghe d'Egitto e la divisione delle acque del mar Rosso sono episodi molto efficaci. Nel cast molto ricco spicca Charlton Heston, a quanto pare abbonato al kolossal »

(Francesco Mininni, Magazine italiano tv.)

Note:

1 ^ a b Date di uscita su IMDb. URL consultato il 21-12-2007.
2 ^ a b c d e f Informazioni sul trivia di IMDb. URL consultato il 22-12-2007.
3 ^ Cast di Il più grande spettacolo del mondo. URL consultato il 22-12-2007.
4 ^ Pensiero espresso dallo stesso Charlton Heston durante un'intervista per il documentario "Mosè" contenuto fra gli extra del dvd de "I dieci comandamenti"
5 ^ Fonte su members.authorsguild.net. URL consultato il 22-12-2007.
6 ^ Edward G. Robinson nella sua autobiografia ringraziò De Mille per il ruolo, scrivendo: De Mille mi salvò la carriera.
7 ^ a b Informazione su digilander.libero.it. URL consultato il 21-12-2007.
8 ^ Scheda su ciao.it. URL consultato il 21-12-2007.
9 ^ Informazioni finanziarie su IMDb. URL consultato il 21-12-2007.
10 ^ Informazione su boxofficemojo.com. URL consultato il 21-12-2007.
11 ^ a b c d Premi su IMDb. URL consultato il 21-12-2007.
12 ^ Scheda su mymovies.it tratta da una recensione del dizionario Morandini. URL consultato il 26-12-2007.
13 ^ a b Scheda su mymovies.it tratta da una recensione del dizionario Farinotti. URL consultato il 26-12-2007.

Bibliografia:

* Katherine Orrison, Written in Stone- Making of Cecil B. De Mille's Epic, The Ten Commandments, ISBN 1-879511-24-X
* Mike Munn, The Stories Behind de Scenes of the Great Film Epics,
* Cecil B.De Mille, Autobiografia
* Cary, J.; Kobal, J., Kolossal. Il film epico e la sua storia, Fabbri, Milano 1975.
* Gori, G., Guida al film storico, Roma 1993.
* Viganò, A.,Storia del cinema storico in cento film, Le Mani, Recco 1997.
* Birchard, R. S., DeMille and The Ten Commandments: a match made in heaven
* Bourget, J, Another Look At Demille, Cecil,B. The 'Ten Commandments
* Steinfels, Peter, Looking away from DeMille to find Moses






















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