RSS

Toro scatenato
























« ... ma io non sono Olivier, anche se mi farebbe piacere. E poi lo vorrei vedere sul quadrato recitare se con Sugar si misurasse chissà quante ne pigliasse... per cui datemi un'arena, Jake il toro si scatena, perché oltre al pugilato sono attore raffinato. Questo è spettacolo! »
(Jake LaMotta)

Titolo originale: Raging Bull
Paese: USA
Anno: 1980
Durata: 129'
Colore: b/n con sequenze a colori
Audio: sonoro
Genere: drammatico, sportivo
Regia: Martin Scorsese
Soggetto: Jake LaMotta, Joseph Carter, Peter Savage
Sceneggiatura: Paul Schrader, Mardik Martin
Interpreti e personaggi
Robert De Niro: Jake LaMotta
Cathy Moriarty: Vickie LaMotta
Joe Pesci: Joey LaMotta
Frank Vincent: Salvy
Nicholas Colasanto: Tommy Como
Theresa Saldana: Lenore LaMotta
Mario Gallo: Mario
Frank Adonis: Patsy
Joseph Bono: Guido
Frank Topham: Toppy
Lori Anne Flax: Irma

Fotografia: Micheal Chapman
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Effetti speciali:
Scenografia: Gene Rudolf
Premi:
2 Premi Oscar 1981: miglior attore protagonista (Robert De Niro), miglior montaggio
2 National Board of Review Awards 1980: miglior attore (Robert DeNiro), miglior attore non protagonista (Joe Pesci)



















Toro scatenato è un film statunitense del 1980, diretto da Martin Scorsese.

È una delle opere più importanti nate dalla collaborazione tra il regista Scorsese e l'attore Robert De Niro. Ispirato dall'autobiografia del pugile Jake LaMotta, Raging Bull: My Story, adattata da Paul Schrader e Mardik Martin, il film fu quasi interamente girato in bianco e nero.



















Il ruolo di protagonista, nella parte che gli valse il premio Oscar, è di un magnifico Robert De Niro, la cui interpretazione, unanimemente considerata come una delle più intense di tutta la storia del cinema (soprattutto nei suoi monologhi in camerino, prima dello spettacolo del vecchio LaMotta), fu memorabile. De Niro interpreta il pugile peso medio Jake LaMotta, dal carattere brusco e paranoico, che, cresciuto nel Bronx, si allena tenacemente per raggiungere i vertici della boxe, per poi subire una vera caduta, accompagnata da notevoli problemi con la famiglia e gli amici. Il ruolo del fratello-manager di Jake, Joey, è di Joe Pesci, per il quale ricevette la nomination all'Oscar come miglior attore non protagonista.



















Il film fu distribuito dalla United Artists; inizialmente i produttori esecutivi furono esitanti sui finanziamenti dello stesso, poiché temevano una stroncatura da parte della critica per l'eccessiva violenza, verbale e non. Comunque Scorsese e De Niro, dopo aver rielaborato alcuni pezzi, furono in grado di procedere. Entrambi gli artisti erano intenzionati a fare del film il meglio possibile, e questo soprattutto da parte del regista. Scorsese, infatti, non attraversava un buon periodo, sia per i soliti problemi d'asma, per il quale fu sostituito come regista in alcune scene da suo padre, Charles Scorsese, sia, a livello artistico, per il fallimento, su ogni fronte (pubblico, critica e spese), del musical New York, New York . Lo stesso Scorsese era convinto che Toro scatenato sarebbe stato molto probabilmente il suo ultimo film.



















Come detto Robert De Niro vinse l'Oscar 1981 per il miglior attore protagonista, a cui si aggiunge quello per il miglior montaggio, dato a Thelma Schoonmaker; questo secondo riconoscimento premiava l'innovativo stile delle riprese dei combattimenti, diverse, tanto per fare un esempio, da quelle di Rocky. "Toro scatenato" ricevette altre sei nomination: miglior attore (Joe Pesci) e miglior attrice non protagonisti (Cathy Moriarty), miglior sonoro, miglior regia, Best Cinematography and Best Picture.



















Nel 1990 è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.

Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al ventiquattresimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito addirittura al quarto posto.




















Le prime scene del film mostrano Jake LaMotta, in età avanzata, prepara uno dei suoi consueti spettacolini comici in un piccolo locale; segue un lungo flashback, che si chiude poco prima della fine, sulla sua precedente carriera di pugile.

LaMotta (De Niro) è un forte e tenace combattente, proveniente dal Bronx, con il fratello minore Joey (Pesci) come suo manager. All'inizio Jake è sposato, ma poco dopo, anche a causa dei fortissimi litigi con la moglie, e della storia d'amore con la bella Vicki (Moriarty) il suo matrimonio fallisce. Contemporaneamente LaMotta sale lentamente i gradini del mondo della boxe, anche se con una certa fatica poiché all'inizio non vuole mettersi sotto la protezione di alcuni influenti personaggi del quartiere che, in cambio di alcuni incontri indirizzati a loro piacimento, lo avrebbero aiutato ad essere proclamato sfidante ufficiale per il titolo di campione mondiale dei pesi medi. Alla fine, dopo alcuni match, tra i quali ricordiamo quelli con Sugar Ray Robinson, e dopo averne perso intenzionalmente qualcuno, per favorire i suoi "protettori", Jake arriva finalmente a poter contendere il titolo al campione del mondo dei pesi medi.



















Nel contempo la sua vita comincia ad essere costellata da grossi problemi, prima quelli di peso, che doveva mantenere sotto certi livelli per poter combattere, poi quelli familiari; infatti, nonostante il matrimonio e i figli, Jake è divorato da una forte gelosia, e teme continuamente che la moglie Vicki lo tradisca. Un episodio del film ci fa capire l'enorme gelosia del protagonista, aiutata dal pessimo carattere e da un'intelligenza non sopraffina: poco prima di un incontro di scarsa rilevanza la moglie Vicki nota che lo sfidante del marito è un bel ragazzo. A parte il litigio sulla questione che Jake ha con la donna, durante l'incontro, Jake si scatena contro l'avversario, riducendolo in uno stato tale da non poter essere più reputato carino.



















Nonostante la vittoria del titolo Jake piomba così ancora di più in uno stato di paranoia, che investe anche gli amici e il fratello; Joey infatti, che aveva sempre fatto di tutto per aiutarlo, fino a fare a pugni per evitare che la cognata si divertisse con dei suoi amici, attira le ire del fratello, che lo sospetta addirittura di andare a letto con la moglie. I rapporti con Joey si fanno sempre più tesi, anche perché quest'ultimo cerca di far seguire una dieta come si deve al fratello, finché un giorno Jake lo picchia, in preda a un raptus, scatenato dalla battuta della moglie, esasperata dalla gelosia di lui, sul fatto che lei andasse a letto pure con Joey. La parabola discendente di La Motta presto investe anche lo sport, e presto perde il titolo con il suo acerrimo rivale Sugar Ray Robinson; rimasto senza il fratello, che dopo i litigio lo abbandona, senza che Jake lo cerchi più, La Motta comincia a ingrassare fino a ritirarsi dalla boxe dopo pochi anni. Ma nemmeno nel lusso in cui vive, con i figli e la paziente moglie al fianco, riescono a darli una vita serena; La Motta compra e gestisce il locale omonimo, passando lì molto del tempo, dandosi al divertimento, finché Vicki non si porta via i figli divorziando. Jake, solo, si dedica al suo night club, dove fa l'intrattenitore, ma presto subentrano problemi economici e legali, infatti tra le altre cose viene incastrato in un'accusa di sfruttamento della prostituzione, e per racimolare i soldi per mettere tutto a tacere (cosa che non gli risucirà) spacca anche la sua cintura di campione del mondo per venderne le gemme.



















A causa di questa denuncia finisce in prigione, dove libera la sua rabbia contro le pareti, nell'ira di un uomo che piano piano sta perdendo tutto quello che di bello aveva avuto. La parte finale del film, in cui De Niro ci offre un saggio della sua abilità, vede un La Motta solo al mondo, che riesce a malapena a scusarsi con il fratello, incontrato per caso, che però non vuole saperne di lui. Nel finale vero e proprio Jake è nel suo camerino,che prova allo specchio il monologo che dovrà fare sul palco, tratto da quello di Marlon Brando in Fronte del porto; alla fine viene chiamato per i suoi "5 minuti" di spettacolo, e qui si chiude il film.



















Il progetto di Toro scatenato fu presentato a Martin Scorsese dal suo amico e collaboratore Robert De Niro, che aveva scoperto il libro di memorie di LaMotta, su cui sarebbe stato fatto il film, e voleva a tutti i costi avere la parte da protagonista. In questa pellicola ripercorriamo le gesta sportive di un combattente nato ma, ancor più, saggiamo la psicologia dell'uomo La Motta, classico esempio di individuo succube della sua stessa natura, nel bene e nel male. Indubbiamente il film viene ricordato principalmente per tre caratteristiche: 1) essere la pellicola dedicata alla box più importante della storia (probabilmente anche il film dedicato alla sport in generale); 2) essere il film in bianco e nero dell’epoca più bello; 3) contenere l’interpretazione più incredibile mai vista della storia del cinema, quella di Robert De Niro.



















Toro scatenato fu girato in due fasi. La maggioranza del film, incluse tutte le scene sul ring, fu girato per prima. Dopo questo periodo la produzione fu interrotta per alcuni mesi , durante i quali De Niro mise su il peso necessario per interpretare il ruolo di La Motta nella parte finale del film (e nei primissimi momenti). Il peso di De Niro aumentò di circa 30 chili per portare la sua figura da quella del giovane e muscoloso boxeur al vecchio e grasso La Motta. Questo particolare di De Niro è ben visibile in una delle ultime scene, quando La Motta dorme con la camicia aperta, mostrando un voluminoso ventre. Questa e altre scene furono girate con pochissimi "ciak", dal momento che De Niro aveva grossi problemi a recitare con quel corpo enorme; la "metamorfosi" di De Niro rimane una delle più impegnative e celebri dell'intera storia del cinema, ed è un esempio lampante di un metodo di recitazione estremo, mirato ad una riproduzione più fedele possibile della realtà.



















Lo splendido bianco e nero con cui Michael Chapman ha fotografato il film richiede una sottolineatura. Un bianco e nero dal sapore quasi mistico, che assume una luminosità non a caso trasfigurante nel ritrarre, in due spezzoni montati in apertura e chiusura di pellicola, il Jake La Motta che da tempo ha appeso i guantoni al chiodo mentre, nel proprio camerino, ripassa le battute del suo show cabarettistisco e allo stesso tempo usa quelle stesse parole per commiserarsi. Uno straordinario stralcio di cinema.

Un'altra cosa che Scorsese non amava negli altri film sulla boxe era la modalità di ripresa dell'incontro vero e proprio, ovvero mostrare il combattimento come veniva visto dagli spettatori, fatto che rendeva molto meno cruenta l'impressione che il pubblico aveva dello stesso. Attraverso il sapiente montaggio da Oscar di Thelma Schoonmaker, Scorsese riuscì a mantenersi fedele all'idea di riprese che stessero sul ring, che facessero vedere la violenza di ogni singolo pugno, la rozzezza e la crudezza della "nobile arte" della boxe. Lo spettatore che assisteva ai duelli del film sentiva ciò che accadeva ai duellanti, percepiva il loro dolore e la loro rabbia, e vedeva con estremo realismo la forza dei colpi che si abbattevano sui pugili. C'è anche da dire che ogni singolo combattimento si presenta diverso dagli altri, poiché riflette i vari stati mentali di La Motta durante i combattimenti.



















Il film fu montato nell'appartamento newyorkese di Scorsese, soprattutto di notte. Da quel che si dice Scorsese fu ossessivamente meticoloso ed esigente durante la post-produzione, lavorando affinché ogni particolare fosse in sintonia con l'idea che aveva del film. Scorsese e Thelma Schoonmaker impiegarono un periodo di tempo inusuale anche solo per montare la complessa e variegata colonna sonora. Questo dispendio di energie, e di tempo, sulla post-produzione portò ad un attrito tra il regista e i produttori del film, che lo accusavano di eccessiva lentezza.

Scorsese affermò che questa attenzione da molti considerata "esagerata" sulle fasi successive alla fine delle riprese era motivata dal fatto che Scorsese fosse seriamente convinto che Toro scatenato sarebbe stato il suo ultimo lavoro da regista, e quindi voleva che venisse esattamente come lo aveva voluto, come una specie di testamento artistico, degna cornice di un autore che aveva già dato alla luce opere notevoli. Comunque Scorsese è stato poi portato a vedere il film come una sorta di rinascita cinematografica.

Alla fine del film vi è una citazione religiosa ed una dedica al suo defunto professore di cinematografia al college, Haig Manoogian, che lo aveva aiutato a produrre il suo primo lungometraggio.

 Toro scatenato, nei primi giorni di uscita, ricevette grandi lodi e, verso la fine degli anni ottanta, il film fu spesso votato dai critici come il migliore del decennio, e come uno dei migliori film americani di sempre. Tra i critici più entusiasti dell'opera vi fu Roger Ebert, il quale affermò come Toro scatenato fosse entrato appieno tra i classici del cinema, e rappresentasse il coronamento artistico di quelle grandi doti che Scorsese aveva mostrato con le sue opere precedenti. Parallelamente, stime egualmente rilevanti furono indirizzate all'interpretazione di Robert De Niro, inserita nel lotto delle migliori performance attoriali di tutti i tempi; una prova d'attore che molti collocano oggi al primo posto assoluto nella suddetta graduatoria all time. Anche la notte degli Oscar, nonostante svariate nomination, fu abbastanza povera per il film, che raccolse solo il premio per il montaggio e per il miglior attore, De Niro. Lo stesso Scorsese si arrese di fronte a Robert Redford, miglior regista di quell'edizione. La causa di questa parziale delusione fu anche l'atteggiamento della casa di produzione, la United Artists, che in quel periodo era "distratta" dai problemi finanziari provocati dal flop di I cancelli del cielo, e non promosse abbastanza il film per gli Oscar. Pensare che a Toro Scatenato sia stato negato l'Oscar, pensare che l'Academy gli abbia preferito "Gente comune", suscita un che di perplessità. Come spesso accade, fortunatamente, il tempo tende a ristabilire i valori. In fondo il cinema va oltre i premi e gli allori. Ciò che conta sono le mille emozioni che un film di questa levatura riesce a far vibrare. Ciò che resta, alla fine, è De Niro che danza sul ring sulle sublimi note della "Cavalleria Rusticana". Toro scatenato è un film che offre numerosi spunti tematici: è risaputo che il mondo del pugilato ha sempre avuto successo nel mondo del cinema, dagli episodi legati al passato come quelli interpretati da Kirk Douglas (“Grande Campione”, ’49), Paul Newman (“Lassù qualcuno mi ama”, ’56), Humphrey Bogart (“Il colosso di argilla”, ’56), Alain Delon (“Rocco e suoi fratelli”, ’60), fino al finire degli anni ’70, con la nuova ondata di Rocky, fino ad arrivare al Denzel Washington di “Hurricane”, il Daniel Day Lewis di “The boxer”, Will Smith con “Alì”, Hilary Shank in “Million Dollar Baby”, tutti gran bei film, tutti di successo. Il motivo è evidente, il pugilato è lo sport più teatrale in assoluto, è il combattimento tra due persone, da sole sul ring, è uno sport pieno di metafore che lascia spazio alle fantasie di cineasti; e non si ferma lì, la vita dei pugili è spesso una tragedia, le origini proletarie, la tendenza alla violenza (anche casalinga), la difficoltà a mantenere i rapporti, la quasi scontata decadenza sia economica che morale alla fine della carriera, l’eccesso di vizi, Il fuoco del ring, tutto il fascino passato della nobile arte si avvertono pregnanti in questa pellicola. Nondimeno, il fattore pugilistico diviene qui uno splendido pretesto per ripercorrere la parabola esistenziale di un vero animale da ring, di un pugile epocale qual è stato Jake La Motta, l'indimenticato "Toro del Bronx". Non un combattente qualunque, ma un boxeur talmente caparbio da riuscire ad infliggere una severa sconfitta al grande 'Sugar' Ray Robinson, nel corso della sua prima sfida al forte pugile di colore. E non si trattava di un avversario propriamente comune, ma di colui che nell'ambiente pugilistico viene a tutt'oggi considerato come il miglior pugile di tutti i tempi pound for pound, ossia in assoluto, a prescindere dalla categoria di peso di appartenenza. La permanenza di La Motta ai massimi vertici della boxe mondiale, ovvero il mantenimento di un prestigio assoluto nel ranking di disciplina (La Motta conservò comunque il titolo di Campione del mondo dei pesi medi dal '49 al '51) fu minata da un'innata predisposizione all'autodistruzione, dal suo ego animalesco ed irrefrenabile, che in realtà celava un fondo di insicurezza la cui insorgenza veniva istintivamente calmierata da esplosioni irate, sanguigne, con effetti progressivamente deleteri sulla carriera - sulla vita - del campione. E' proprio quest'ultimo l'aspetto a cui gli autori si sono dedicati prioritariamente, eleggendo a tema del film un'indagine focalizzata sulla monodimensionalità del personaggio protagonista, sull'incapacità dello stesso di smussare gli angoli più ruvidi della propria indole anche solo per mero tornaconto, sull'uomo schiavo di se stesso, tristemente incline a pratiche di auto-danneggiamento generalizzato che quasi riflettono una sorta di masochismo inconsapevole.  La componente sportiva, si è detto, non viene posta su di un piano dominante, ma è altresì vero che le sequenze di boxe sono state realizzate con una cura che esula dall'ordinario. Solo Michael Mann, vent'anni dopo, nel girare "Alì" si dedicherà in maniera ancor più capillare alla ricostruzione di match pugilistici, realizzando (splendide) sequenze-fotocopia dei combattimenti di Cassius Clay/Muhammed Alì. Le scene di pugilato presenti in "Toro Scatenato" sono state per lungo tempo le più realistiche mai viste al cinema: immagini in grado di trasmettere tutto il sentimento battagliero che animava combattenti che non conoscevano resa, di ricreare la violenza dei colpi, lo smarrimento del pugile in difficoltà, il clima che circondava arene fumose e macchiate di sangue. Scorsese, da par suo, è riuscito a rendere indelebile la riproposizione del cosiddetto "massacro di Boston", l'ennesima rivincita fra La Motta e Robinson, l'incontro in cui lo stesso La Motta, insofferente e frustrato, abbassa le braccia abbandonandosi volontariamente ai colpi dell'avversario. Ma il pugile non crolla, resta in piedi e si lascia massacrare e, una volta che l'arbitro ha interrotto il match, si lascia andare a quel "Hey, Ray: non mi hai mai messo giù...". Questa frase, l'intera situazione sopra descritta possono, dare un'idea di quali fossero le venature caratteriali che facevano del Toro del Bronx un'individualità bonariamente ostile, spigolosa in superficie ma vulnerabile nel profondo.

Nella scena finale, l'uomo che entra nel camerino per chiamare Jake, è Martin Scorsese.
Quando De Niro vinse l'Oscar quale miglior attore protagonista, ringraziò Joey LaMotta, "Sebbene ci stia citando in giudizio".
Solamente nel 2005 è uscito per il pubblico un cofanetto, contenente due CD, con la colonna sonora del film; le difficoltà erano da imputarsi ai permessi per molte delle canzoni, che lo stesso Scorsese aveva selezionato ritornando con la memoria alla sua infanzia nella Grande Mela.
I rumori dei pugni, nelle scene di boxe, sono stato ottenuti schiacciando pomodori e meloni.

  • Digg
  • Del.icio.us
  • StumbleUpon
  • Reddit
  • RSS

0 commenti: